Graziano Mesina, arrestato uno dei latitanti più pericolosi d’Italia

Graziano Mesina, arrestato uno dei latitanti più pericolosi d’Italia

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Di Alberto Pinna

«Grazianeddu», il più famoso esponente del banditismo sardo, è stato rintracciato e arrestato nel corso della notte dai carabinieri del Ros. Era latitante dal 2020. Arrestata anche la coppia che proteggeva la sua latitanza

«Non finirò i miei giorni in carcere». Graziano Mesina, stavolta, non è stato di parola. Dormiva in una casetta di Desulo — 2 mila abitanti, Barbagia del sud — quando si è trovato gli uomini del ROS con il mitra puntato e nessuna via di scampo. Finita dopo 17 mesi la fuga del più famoso dei banditi sardi, 80 anni al prossimo aprile, paese circondato da più di cento carabinieri. Erano le 3 della notte fra venerdì e sabato, su Desulo spirava un maestrale gelido, nessuno si è accorto delle pattuglie appostate sui tetti. Una squadra dei «cacciatioriu di Sardegna» ha sfondato la porta.  Mesina, Grazianeddu, il più famoso esponente del banditismo sardo, dormiva, si è rapidamente rivestito, due ore dopo era già a Nuoro nel carcere di Badu ‘e Carros, sezione di massima sicurezza, dal quale mai nessuno è riuscito a evadere. «Non era armato, non ha opposto resistenza». Nella sua stanza pochi vestiti, in un cassetto alcune migliaia di euro, denari necessari per pagare protezioni e latitanza. «Da quanto tempo è qui?» hanno chiesto a chi lo ha accolto in casa. Marito e moglie si sono rifiutato di rispondere e sono inquisiti per favoreggiamento.

Mesina era fra i 10 ricercati più pericolosi d’Italia, sesto nella lista del ministero degli interni, poco dopo Matteo Messina Denaro e Attilio Cubeddu (altro big dell’Anonima Sequestri, 74 anni, non più reperibile dal 1997). Un ergastolo, sentenze cumulate per qualche centinaio di anni, più di otto evasioni, fama di bandito d’altri tempi, rude ma generoso, spazzata via dalle ultime condanne come capo di due bande che trafficavano droga: 30 anni di carcere, che la Corte di Cassazione ha reso definitivi. Un reato infamante per il mito di bandito/balente, ultimo fuorilegge d’altri tempi.  Quando i carabinieri sono andati a Orgosolo a casa della sorella Peppedda — luglio 2020 — con la notifica della sentenza e l’ordine di carcerazione, era già in fuga. «Sono stata con lui fino a poche ore fa, era tranquillo, sperava di essere assolto», dichiarò l’avvocato Maria Luisa Vernier. «Stava chiuso in casa, non è mai uscito, a Desulo nessuno si è accorto della sua presenza» afferma il generale Pasquale Angelosanto, che ha coordinato l’azione dei ROS.

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La casa nella quale si era rifugiato Mesina è una palazzina a due piani, la stanza da letto (con coltri e una stufa) è al piano terra; c’è una porta verso il cortile, ma Grazianeddu non ha cercato di scappare. «Siamo stati rapidi, era sorpreso, non ha neanche avuto il tempo di pensare che era già In manette». Desulo è a una cinquantina di chilometri da Orgosolo, paese di Mesina. Case perquisite, familiari pedinati, blitz notturni: i carabinieri puntavano proprio sia Orgosolo e non hanno mai considerato seriamente le ipotesi di espatrio in Tunisia, Algeria o Corsica, probabilmente diffuse per depistare le ricerche. A Orgosolo Mesina ha mantenuto legami e affetti, particolarmente in questi ultimi mesi, con il Covid19 che ha colpito la sua famiglia (escomparsi le sorelle Rosa e Antonia e il nipote Giancarlo Pisanu) . Non ci sono state «soffiate», le informazioni decisive sono state raccolte da intercettazioni telefoniche e pedinamenti. Uno dei sospettati aveva frequenti contatti con amici di Desulo e nelle ultime settimane le indagini si sono concentrate su due utenze telefoniche e sugli spostamenti di un favoreggiatore.

Con l’arresto di Mesina si chiude un’epoca: in Sardegna non c’è più un rapimento dal 2006, la malavita ha aggiornato i suoi codici, il traffico di droga (con la richiesta alimentata d‘estate dai grandi flussi di turismo) ha sostituito, anche nel mondo agropastorale, i reati tradizionali. Graziano Mesina — dicono le sentenze che hanno cancellato la grazia ottenuta nel 2004 — lo aveva intuito, girava la Sardegna in Porsche Cayenne con autista, impartiva ordini in linguaggio cifrato («È arrivata la biada?», cioè la partita di cocaina), ma non è riuscito a calarsi completamente nel ruolo di boss della nuova «mala».

Tratto da: Corriere Della Sera

Cronaca Giustizia