Per il bene della vita sulla Terra, mettiamo un freno alla ricchezza

Per il bene della vita sulla Terra, mettiamo un freno alla ricchezza

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Tempo di lettura: 5 min

DI GEORGE MONBIOT

The Guardian.com

Non è colpa solo i mega-ricchi: l’aumento della nostra capacità di spendere ci sta portando a dover sopportare danni contro l’ambiente. È ora di cambiare radicalmente.

Non è vero che ogni grande fortuna si è creata grazie al grande crimine, ci sono musicisti e romanzieri, per esempio, che possono diventare estremamente ricchi dando piacere agli altri. Ma sembra che sia universalmente vero che le ricchezze immense si traducano automaticamente in un enorme impatto sull’ambiente, indipendentemente dalle intenzioni di chi possiede queste ricchezze. I più ricchi, quasi per definizione, sono quelli che stanno ammazzando la terra.

Qualche settimana fa, mi è arrivata una lettera di un addetto di un aeroporto privato inglese. “Vedo certe cose che davvero non dovrebbero accadere nel 2019”, mi ha scritto. Ogni giorno ci sono dei jet Global 7000, dei Gulfstream G650 e persino dei Boeing 737, che partono con un solo passeggero a bordo, che vanno per lo più in Russia e negli Stati Uniti. Per far volare un Boeing 737 privato – costruito per portare 174 passeggeri – servono 25.000 litri di carburante. Tanta energia fossile quanta ne consuma in un anno una piccola città africana.

Dove se ne vanno questi passeggeri che viaggiano da soli? Forse vanno in uno dei loro super-villoni, costruiti e gestiti con un costo ambientale altissimo, oppure se ne vanno sul loro super-yacht che brucia 500 litri di gasolio ogni ora solo per mettersi in moto e che è costruito con materiali rari estratti dal suolo di posti bellissimi.

Forse non dovremmo sorprenderci quando vediamo che a luglio Google ha convocato un meeting di ricchi e famosi al Verdura Resort, in Sicilia, per discutere dei dissesti climatici e i delegati sono arrivati con 114 jet privati ​​e una flotta di megayacht, e poi se ne sono andati in giro per l’isola con auto di superlusso. Anche quando capiscono bene, gli ultraricchi non possono fare a meno di distruggere il mondo vivente.

“Superyacht Aviva al largo della costa della Cornovaglia.”

Foto: Simon Maycock / Alamy Stock Photo

Una serie di articoli d’inchiesta mostra che il reddito è di gran lunga la maggior discriminante per un maggior impatto ambientale. Non è importante dichiararsi e credere di essere dei verdi convinti, se si hanno troppi soldi, si spendono. La sola forma di consumo che è chiaramente e positivamente correlata che le vere buone intenzioni ambientali è la dieta: le persone che si considerano verdi tendono a mangiare meno carne e più verdure biologiche. Ma questi atteggiamenti poco possono contro la gran quantità di carburante che viene bruciata per i trasporti, per l’energia domestica e per tutto il resto che consumiamo quotidianamente. Il denaro vince su tutto.

Gli effetti disastrosi della capacità di spesa sono aggravati dall’impatto psicologico dell’essere ricchi. Una gran quantità di studi dimostra che più si è ricchi e meno si è in condizione di entrare in relazione con altre persone. La ricchezza cancella l’empatia. Si è visto che chi è alla guida di una auto molto costosa, in genere, è meno propenso a fermarsi per far attraversare le persone sulle strisce pedonali, rispetto a chi guida auto più economiche. Un altro articolo dice che le persone più ricche mostrano meno compassione verso i bambini con il cancro, rispetto alle persone più povere, benché i ricchi siano più responsabili dei poveri per i disastri creati al pianeta. Più le persone sono ricche, dice una ricerca, meno è probabile che prendere atto di certi fatti, rechi loro disturbo.

Un altro punto è che la ricchezza limita le prospettive anche delle persone più ben intenzionate. Questa settimana, Bill Gates in una intervista con il Financial Times ha argomentato che spendere soldi per cercare combustibili fossili è una perdita di tempo. Sarebbe meglio, ha affermato, spendere soldi per nuove tecnologie alternative con emissioni più basse. Naturalmente abbiamo bisogno di nuove tecnologie. Ma ha Bill Gates ha perso di vista il punto cruciale: cercare di evitare il breakdown climatico. Quello che conta non è ciò che vuoi fare ma quello che smetti di fare.

Non è importante quanti pannelli solari vogliamo mettere se, contemporaneamente, non spegniamo i bruciatori a carbone e a gas. Fin quando tutti gli stabilimenti fossili non saranno chiusi, prima della loro obsolescenza naturale e tutte le ricerche e lo sviluppo di nuove riserve fossili saranno bloccate, ci resta solo una piccola possibilità di evitare che il riscaldamento globale aumenti meno di 1,5 ° C.

Ma questo richiederebbe un cambiamento strutturale, che implicherebbe interventi politici e innovazione tecnologica: un anatema per i miliardari della Silicon Valley. Questo richiederebbe di riconoscere che il denaro non è una bacchetta magica che fa sparire ogni bruttura.

Domani “Voglio unirmi allo sciopero climatico globale“, dove “gli adulti staranno accanto ai giovani che con il loro appello hanno fatto levare un eco in tutto il mondo”. Come libero professionista, mi sono chiesto contro chi dovrei scioperare. Contro me stesso? Sì: almeno contro un aspetto di me stesso. Forse la cosa più radicale che potremmo fare ora è limitare le nostre aspirazioni materiali. L’ipotesi su cui operano oggi governi ed economisti è che tutti devono sforzarsi per massimizzare la propria ricchezza. Se dovessimo riuscirci, inevitabilmente distruggeremo il sistema su cui poggia la vita dell’uomo. Se i poveri vivessero come vivono i ricchi e se i ricchi vivessero come vivono gli oligarchi, distruggeremmo tutto. La continua ricerca della ricchezza in un mondo che già la possiede (anche se distribuita molto malamente) è una formula che porterebbe tutti alla miseria.

Uno vero sciopero a difesa del mondo vivente deve essere, in parte, uno sciopero contro il desiderio di aumentare il nostro reddito e di accumulare più ricchezza: un desiderio modellato e dominato da una narrativa sociale ed economica molto più efficace di quanto noi stessi possiamo immaginare.

Mi vedo mentre sciopero per appoggiare “abbastanza” un concetto radicale e inquietante. Individualmente e collettivamente, è ora di decidere che cosa intendiamo noi per “abbastanza” e come comprenderemo quando è arrivato il momento che l’abbiamo raggiunto.

C’è un nome per questo approccio, coniato dalla filosofa belga Ingrid Robeyns: limitarianismo. La Robeyns sostiene che dovrebbe esserci un limite massimo alla quantità di reddito e di ricchezza che può accumulare una singola persona. Proprio come abbiamo riconosciuto che esiste una soglia di povertà, sotto la quale nessuno dovrebbe cadere, dovremmo riconoscere una soglia di ricchezza, oltre la quale nessuno dovrebbe innalzarsi. Questo appello di livellamento forse è l’idea più blasfema che si sia sentita pronunciare nel discorso dei giorni nostri.

Ma i suoi argomenti sono solidi. Il troppo denaro consente a certe persone di esercitare il proprio potere su altri individui: sul lavoro, in politica e soprattutto nella presa di possesso, nell’uso e nella distruzione delle ricchezze naturali del pianeta. Per stare tutti bene noi non possiamo permetterci i troppo ricchi. Né possiamo permetterci di mantener vive le nostre aspirazioni di oggi, che vengono incoraggiate dalla cultura della massimizzazione della ricchezza.

La triste verità è che i ricchi possono vivere come vivono solo perché gli altri sono poveri: non ci sarebbe né lo spazio fisico, né quello ecologico per tutti, se tutti potessimo vivere nel lusso. Invece, dovremmo lottare per una equità privata e un lusso pubblico. La Vita sulla Terra dipende dalla moderazione.

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