Sulle questioni veramente importanti la libertà di stampa non esiste

Sulle questioni veramente importanti la libertà di stampa non esiste

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Tempo di lettura: 17 min

MATT KENNARD & MARK CURTIS
dailymaverick.co.za

Il Guardian, il principale quotidiano liberale britannico, con una reputazione mondiale di giornalismo indipendente e critico, è stato preso di mira con successo dalle agenzie di sicurezza, allo scopo di ‘neutralizzare’ i suoi pericolosi articoli sullo “stato di polizia,” secondo documenti e prove fornite da ex ed attuali giornalisti del Guardian.

I servizi di sicurezza del Regno Unito avevano preso di mira il Guardian nel giugno 2013, subito dopo l’inizio delle pubblicazioni da parte del quotidiano di alcuni documenti segreti del governo degli Stati Uniti fatti trapelare dal collaboratore della National Security Agency, Edward Snowden.

Le rivelazioni delle notizie esplosive di Snowden erano continuate per mesi ed erano state la più grande divulgazione di tutti i tempi di materiale classificato riguardante la NSA e il suo equivalente nel Regno Unito, il Quartier Generale delle Comunicazioni Governative (GCHQ). Erano venuti alla luce i programmi di sorveglianza di massa gestiti da entrambe le agenzie.

Secondo i verbali delle riunioni del Comitato Consultivo dei Media sulla Difesa e la Sicurezza del Regno Unito (DSMA), le rivelazioni avevano messo in allarme i servizi di sicurezza britannici e il Ministero della Difesa.

Questo evento era stato molto preoccupante perché, all’inizio, il Guardian aveva evitato di impegnarsi con il [comitato] prima di pubblicare la prima tranche di informazioni,” rivela il verbale di una riunione tenutasi il 7 novembre 2013 al Ministero della Difesa (MOD).

Il comitato del DSMA, più comunemente noto come Comitato D-Notice, è gestito dal MOD, nella cui sede si riunisce ogni sei mesi. Anche un piccolo numero di giornalisti è invitato a far parte del comitato. Lo scopo dichiarato è “impedire la divulgazione involontaria al pubblico di informazioni che potrebbero compromettere le operazioni militari e di intelligence del Regno Unito.” [Questo comitato] può trasmettere “avvisi” ai media, per ‘incoraggiarli’ a non pubblicare determinate informazioni.

Il comitato è attualmente presieduto dal direttore generale del MOD per la politica sulla sicurezza, Dominic Wilson, che, precedentemente, era a capo della sicurezza e dell’intelligence presso l’Ufficio di Gabinetto del Regno Unito. Il suo segretario è il brigadiere Geoffrey Dodds, ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, OBE, che si autodefinisce un “esperto, ex comandante militare con una vasta esperienza di leadership a livello operativo.”

Il sistema D-Notice sostiene di operare su base volontaria e di non imporre ai media l’obbligo di conformarsi agli avvisi emessi. Questo significa che il Guardian non aveva nessun obbligo di consultare il MOD prima di pubblicare i documenti di Snowden.

Tuttavia, i verbali della commissione rivelano che il segretario aveva dichiarato: “Il Guardian era obbligato a chiedere … consigli ai sensi dei termini di preavviso della DA [Defence Advisory].” Il verbale aggiunge: “Questa mancanza nel richiedere un parere si è rivelata una grossa fonte di preoccupazione e sono stati fatti sforzi notevoli per venirne a capo.”

“Notevoli sforzi”

Questi “notevoli sforzi” includevano una D-Notice inviata dal comitato il 7 giugno 2013, il giorno successivo alla pubblicazione da parte del Guardian dei primi documenti, a tutti i principali redattori dei media del Regno Unito, con l’indicazione che avrebbero dovuto astenersi dal pubblicare informazioni che avrebbero “messo a repentaglio la sicurezza nazionale e possibilmente anche il personale [militare] del Regno Unito.” [Il documento] era contrassegnato come “privato e riservato: non per pubblicazione, trasmissione o utilizzo sui social media.”

Chiaramente, il comitato non voleva che l’invio del documento fosse pubblicizzato e c’era quasi riuscito. Solo il blog di destra Guido Fawkes ne aveva parlato.

All’epoca, secondo i verbali del comitato, le “agenzie di intelligence, in particolare, avevano continuato a chiedere che venissero inviati più avvertimenti [D-Notice].” Questi D-Notice erano chiaramente considerati dai servizi di intelligence non tanto uno strumento per indirizzare i media, quanto piuttosto un modo per minacciarli e indurli a non pubblicare ulteriori rivelazioni di Snowden.

Una sera, dopo la pubblicazione delle prime soffiate di Snowden, l’allora segretario del D-Notice Committee, il vice-maresciallo dell’aeronautica Andrew Vallance, aveva personalmente telefonato ad Alan Rusbridger, all’epoca redattore del Guardian. Vallance “aveva espresso la sua preoccupazione per il fatto che il Guardian non lo avesse consultato in anticipo prima di dirlo al mondo intero,” secondo un giornalista del Guardian che aveva parlato con Rusbridger.

Più tardi nel corso dell’anno, il Primo Ministro David Cameron aveva nuovamente usato il sistema D-Notice come una minaccia per i media.

Non voglio usare ingiunzioni, D-Notice o altre misure più severe,” aveva dichiarato in un discorso parlamentare. “Penso che sia molto meglio fare appello al senso di responsabilità sociale dei giornalisti. Ma, se dimostrano di non avevre alcuna responsabilità sociale, sarebbe molto difficile per il governo arretrare e non agire.

Le minacce avevano funzionato. La Press Gazette aveva riferito all’epoca che “Il FT [Financial Times] e il Times non ne avevano parlato [delle rivelazioni iniziali di Snowden] … e il Telegraph ne aveva pubblicata solo una e di scarsa rilevanza.” Aveva continuato osservando che solo l’Independent “ha dato seguito alle denunce concrete.” Aveva aggiunto: “Anche la BBC ha scelto di ignorare completamente la storia.”

Il Guardian, tuttavia, non si era fatto intimorire.

Secondo i verbali del comitato, il fatto che il Guardian non avesse smesso di pubblicare [le rivelazioni di Snowden] “aveva sicuramente indotto qualcuno a porsi delle domande sulla futura utilità del sistema.” Se il sistema D-Notice non poteva impedire al Guardian di pubblicare i segreti più sensibili del GCHQ, a cosa serviva?

Era giunto il momento di tenere a freno il Guardian e assicurarsi che ciò non accadesse mai più.

GCHQ e laptop

I servizi di sicurezza avevano così intensificato i loro “notevoli sforzi” per contrastare le fughe di notizie.

l 20 luglio 2013, alcuni funzionari del GCHQ erano entrati negli uffici del Guardian a King’s Cross, Londra, sei settimane dopo la pubblicazione del primo articolo relativo a Snowden.

Su richiesta del governo e dei servizi di sicurezza, il vicedirettore del Guardian, Paul Johnson, insieme ad altri due dipendenti, avevano passato tre ore a distruggere i computer portatili contenenti i documenti di Snowden.

Il personale del Guardian, secondo uno dei giornalisti del quotidiano, si era munito di “smerigliatrici angolari, dremel (trapani portatili) e maschere.” Il reporter aveva aggiunto che: “L’agenzia di spionaggio aveva fornito un’apparecchiatura ad alta tecnologia, uno “smagnetizzatore,” che distrugge i campi magnetici e cancella i dati.”

Johnson afferma che la distruzione dei computer era stata “un atto puramente simbolico, aggiungendo che “il governo e il GCHQ lo sapevano, perché avevamo detto loro che il materiale era stato inviato anche negli Stati Uniti per essere condiviso con il New York Times. La pubblicazioni sarebbero continuate. L’episodio non aveva cambiato nulla.”

Eppure, l’episodio aveva cambiato qualcosa. Come sottolineato nel verbale del comitato D-Notice del novembre 2013: “Verso la fine di luglio [mentre i computer venivano distrutti], il Guardian aveva iniziato a recepire i consigli D-Notice sulla non pubblicazione di alcuni dettagli altamente sensibili e, da allora, il dialogo [con la commissione] è stato ragionevole e in continuo miglioramento.”

I servizi di sicurezza britannici avevano compiuto qualcosa di più di un semplice “gesto simbolico.” Era stato uno spettacolo di forza ed una chiara minaccia. Il Guardian era all’epoca l’unico grande quotidiano su cui gli informatori all’interno degli organi di sicurezza statunitensi e britannici potevano fare affidamento per l’accettazione e la pubblicazione del loro materiale, una situazione che rappresentava una sfida per le agenzie di sicurezza.

Gli approcci sempre più aggressivi al Guardian avevano funzionato. Il presidente della commissione aveva osservato che, dopo che il GCHQ aveva supervisionato lo smantellamento dei computer del giornale, “l’impegno … con il Guardian ha continuato a rafforzarsi.

Inoltre, aveva aggiunto, ora c’erano “dialoghi regolari tra il segretario, i vice segretari e i giornalisti del Guardian.” Rusbridger aveva in seguito dichiarato alla commissione per gli affari interni che il vice maresciallo dell’aeronautica Vallance della commissione D-Notice e lui stesso “avevano collaborato” all’indomani dell’affare Snowden e che Vallance si era persino “recato negli uffici del Guardian per parlare con tutti i nostri giornalisti.”

Ma la parte più importante di questa offensiva a base di fascino e minacce era stato far sì che il Guardian accettasse di prendere posto nello stesso comitato del D-Notice. Il verbale del comitato è molto chiaro in proposito, sottolineando che “il processo era culminato con la nomina di Paul Johnson (vicedirettore di Guardian News and Media) a DPBAC”  [Membro del Comitato D-Notice].

Ad un certo punto, nel 2013 o all’inizio del 2014, a Johnson, lo stesso vicedirettore che aveva distrutto i computer del suo giornale sotto lo sguardo vigile degli agenti dell’intelligence britannica, era stato chiesto di entrare a far parte del comitato. Johnson aveva iniziato a partecipare alle riunioni nel maggio 2014 e avrebbe continuato a farlo fino ad ottobre 2018.

Il vicedirettore del Guardian era passato direttamente da un lavoro di trapano e smerigliatrice angolare nel seminterrato del gionale alla partecipazione al comitato D-Notice, accanto agli stessi funzionari dei servizi di sicurezza che avevano tentato di impedire la pubblicazione del materiale da parte del suo giornale.

Un nuovo editore

L’editore del Guardian, Alan Rusbridger, aveva resistito a forti pressioni contrarie alla pubblicazione di alcune delle rivelazioni di Snowden, ma aveva accettato che Johnson entrasse a far parte del Comitato D-Notice come concessione tattica ai servizi di sicurezza. Per tutto il periodo del suo incarico, il Guardian aveva continuato a pubblicare articoli di critica nei confronti dei servizi di sicurezza.

Ma la situazione era cambiata nel marzo 2015, quando al Guardian era stato nominato un nuovo editore, Katharine Viner, che aveva meno esperienza di Rusbridger nel trattare con i servizi di sicurezza. La Viner aveva iniziato con la rivista di moda e spettacolo Cosmopolitan e non aveva esperienza nel campo della sicurezza nazionale. Secondo gli addetti ai lavori, durante l’affare Snowden aveva dimostrato molta meno leadership di Janine Gibson,  negli Stati Uniti (la Gibson era stata anche lei candidata al posto di Rusbridger).

La Viner era all’epoca caporedattore del Guardian Australia, che era stato inaugurato solo due settimane prima della pubblicazione delle prime rivelazioni di Snowden. L’Australia e la Nuova Zelanda rappresentano i due quinti della cosiddetta alleanza di sorveglianza “Five Eyes,” denunciata da Snowden.

Questa si era rivelata un’opportunità per i servizi di sicurezza. Sembra che la loro seduzione sia iniziata l’anno successivo.

Nel novembre 2016, il Guardian aveva pubblicato un’intervista “esclusiva” senza precedenti con Andrew Parker, il capo dell’MI5, il servizio di sicurezza interna britannico. L’articolo faceva osservare che quella era la “prima intervista ad un quotidiano rilasciata da un capo in carica dell’MI5 in tutti i 107 anni di vita del servizio.” Il co-autore era il vicedirettore Paul Johnson, che precedentemente non aveva mai scritto nulla sui servizi di sicurezza e che faceva ancora parte del comitato D-Notice. Questo fatto non era stato menzionato nell’articolo.

Al capo dell’MI5 era stato dato ampio spazio per affermazioni sulla minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata da una Russia “sempre più aggressiva.” Johnson e il suo co-autore avevano osservato: “Parker ha affermato che preferiva essere intervistato Guardian, piuttosto che da un qualsiasi altro quotidiano, nonostante la pubblicazione dei file Snowden.”

Parker aveva detto ai due giornalisti: “Riconosciamo che, in un mondo che cambia, anche noi dobbiamo cambiare. Abbiamo la responsabilità di parlare del nostro lavoro e di spiegarlo.”

Dopo quattro mesi dall’intervista con il capo del MI5, nel marzo 2017, il Guardian aveva pubblicato un’altra “esclusiva” senza precedenti, questa volta con Alex Younger, il capo in carica dell’MI6, l’agenzia di intelligence esterna britannica. Questa esclusiva era stata concessa dal Secret Intelligence Service al direttore investigativo del Guardian, Nick Hopkins, che aveva assunto l’incarico 14 mesi prima.

L’intervista era la prima che Younger concedeva ad un quotidiano nazionale ed era ancora una volta di argomento leggero. Intitolata “Il MI6 ricorre all’adescamento nel tentativo di reclutare funzionari asiatici e di colore,” si concentrava quasi esclusivamente sul desiderio dichiarato del servizio di intelligence di reclutare personale dalle comunità delle minoranze etniche.

In poche parole, dobbiamo attrarre il meglio della Gran Bretagna moderna,” aveva detto Younger a Hopkins. “Ogni comunità, in ogni parte della Gran Bretagna, dovrebbe sentire di avere ciò che serve, indipendentemente dal proprio background o status.

Solo due settimane prima della diffusione dell’intervista con il capo del MI6, il Guardian stesso aveva pubblicato un articolo sull’alta corte di giustizia, in cui si affermava che [la corte] avrebbe “ascoltato una domanda di riesame giudiziario riguardante la decisione del Crown Prosecution Service [giudice per le indagini preliminari] di non accusare l’ex direttore dell’antiterrorismo del MI6, Sir Mark Allen, del rapimento di Abdel Hakim Belhaj e di sua moglie, all’epoca in stato interessante, che erano stati trasferiti in Libia in un’operazione congiunta CIA-MI6 nel 2004.”

Niente di tutto ciò veniva riportato nell’articolo [successivo] del Guardian, dove però si discuteva se l’attore Daniel Craig, che impersonava James Bond, si sarebbe qualificato o meno per il servizio di intelligence. “Non sarebbe entrato nel MI6,” aveva detto Younger ad Hopkins.

Più di recente, nell’agosto 2019, il Guardian è stato premiato con un’altra intervista esclusiva, questa volta con l’assistente commissario della Polizia Metropolitana, Neil Basu, il più anziano ufficiale dell’antiterrorismo britannico. Questa è stata la “prima intervista importante di Basu da quando aveva assunto l’incarico” l’anno precedente e ha dato origine ad un articolo diviso in tre parti, una delle quali intitolata “La Polizia Metropolitana valuta il ruolo di Vladimir Putin nell’attacco di Salisbury.” [Il caso Skripal].

I servizi di sicurezza stavano probabilmente imboccando il Guardian con tutte queste “esclusive” come parte del processo per portarlo dalla loro parte e neutralizzare l’unico giornale indipendente con le risorse per ricevere e divulgare rivelazioni come quelle di Snowden. Probabilmente stavano agendo per impedire che si ripetessero altre fughe di notizie di questo tipo.

Se e quali conversazioni private abbiano avuto luogo tra Viner e i servizi di sicurezza durante il suo mandato come editore, la cosa non è di pubblico dominio. Ma, nel 2018, quando alla fine Paul Johnson aveva lasciato il comitato D-Notice, il suo presidente, Dominic Wilson del MOD, aveva lodato Johnson che, secondo Wilson, era stato “determinante nel ristabilire i legami con il Guardian.”

Il declino degli articoli di denuncia

In mezzo a tutte queste interviste esclusive, rilasciate a pappa pronta dell’intelligence, Viner aveva anche gestito lo smantellamento della celebre squadra investigativa del Guardian, i cui giornalisti, abituati a scavare nel torbido, erano stati invitati a fare domanda per altri incarichi al di fuori del settore investigativo.

Una fonte ben informata aveva riferito all’epoca alla Press Gazette che i giornalisti del team investigativo “nell’ultimo anno non si erano sentiti appoggiati dai redattori anziani” e che “alcuni di loro ritengono che l’azienda, nello stesso periodo, sia diventata più avversa al rischio.”

Nel periodo successivo a Snowden, il Guardian aveva perso molti dei suoi principali giornalisti investigativi che si occupavano dei problemi connessi alla sicurezza nazionale, in particolare Shiv Malik, Nick Davies, David Leigh, Richard Norton-Taylor, Ewen MacAskill e Ian Cobain. I pochi rimasti erano stati rimpiazzati da colleghi meno esperti, con apparentemente anche meno impegno nel denunciare le malefatte dello stato di polizia. L’attuale redattore per la difesa e la sicurezza, Dan Sabbagh, aveva iniziato al Guardian come responsabile di media e tecnologia e non ha esperienza nel trattare di sicurezza nazionale.

Sembra che si siano sbarazzati di tutti coloro che sembravano presentare in modo poco favorevole i servizi di sicurezza e le forze armate,” ci ha riferito un giornalista del Guardian.

In effetti, durante gli ultimi due anni della gestione Rusbridger, il Guardian aveva pubblicato sul suo sito web circa 110 articoli all’anno contrassegnati come MI6. Da quando è subentrato Viner, la media annuale si è dimezzata e diminuisce di anno in anno.

Una sorveglianza efficace sulle agenzie di sicurezza e di intelligence, rappresentata al meglio dagli scoop di Snowden ma anche da molte altre storie, sembra essere stata abbandonata,” ci ha detto un ex giornalista del Guardian. L’ex reporter ha aggiunto che, negli ultimi anni, “a volte sembra che il Guardian faccia di tutto per non irritare gli spioni.”

Un altro ex giornalista del Guardian ha aggiunto: “Il Guardian non sembra avere più una relazione così conflittuale con i servizi di intelligence e forse sta cercando di ricucire i rapporti dopo il caso Snowden. Questo è preoccupante, perché gli spioni sono sempre manipolativi e quasi mai affidabili.

Anche se alcuni articoli critici sui servizi di sicurezza compaiono ancora sul quotidiano, i suoi “scoop” si concentrano sempre più su questioni accettabili dall’establishment. Dopo l’affare Snowden, il Guardian non sembra aver più pubblicato articoli basati su fonti dei servizi di intelligence o di sicurezza che non fossero state ufficialmente autorizzate a parlare.

Al contrario, il Guardian ha pubblicato un flusso costante di esclusive sul principale nemico ufficiale dei servizi di sicurezza, la Russia, prendendo di mira Putin, i suoi amici e l’operato dell’esercito russo e dei suoi servizi di intelligence.

Nella divulgazione dei Panama Papers, nell’aprile 2016, che aveva rivelato come aziende ed individui di tutto il mondo si servissero di uno studio legale offshore per evitare di pagare le tasse, lo scoop di lancio sulla prima pagina del Guardian era stato redatto da Luke Harding, che aveva ricevuto dai servizi di sicurezza molti suggerimenti incentrati sulla “minaccia della Russia” e si intitolava “Svelata la traccia offshore da 2 miliardi di dollari che porta a Vladimir Putin.”

Nel pezzo, dopo tre frasi, Harding tuttavia osservava che “il nome del presidente non appare in nessun documento,” sebbene poi insistesse sul fatto che “i dati rivelano uno schema, i suoi amici hanno guadagnato milioni da accordi che, apparentemente, non avrebbero potuto essere garantiti senza il suo patrocinio.”

Nei Panama Papers c’era una storia molto più interessamte, che il Guardian aveva deciso di minimizzare pubblicandola il giorno dopo. Riguardava il padre dell’allora Primo Ministro, David Cameron, che “gestiva un fondo offshore su cui evitava di pagare le tasse in Gran Bretagna assoldando un piccolo esercito di residenti delle Bahamas, tra i quali un vescovo part-time, a cui far firmare i suoi documenti.”

Sappiamo che tra i giornalisti si era discusso del fatto di non iniziare il servizio con la storia di Cameron come articolo d’apertura. Alla fine, gli amici di Putin erano stati considerati più importanti del Primo Ministro del paese dove il quotidiano veniva pubblicato.

Mettere le mani su Julian Assange

Il Guardian sembra anche essere stato impegnato in una campagna contro l’editore di WikiLeaks, Julian Assange, che era stato un collaboratore [del quotidiano] durante le prime rivelazioni di WikiLeaks, nel 2010.

Un episodio del 2017 era stato descritto dalla giornalista investigativa Carole Cadwalladr, che scrive per l’Observer, l’omologo del Guardian, in un articolo dal titolo “Quando Nigel Farage incontra Julian Assange.” Il pezzo riguardava la visita dell’ex leader dell’UKIP, Nigel Farage, all’ambasciata dell’Ecuador, nel marzo 2017, evento organizzato dalla stazione radio LBC, per la quale Farage aveva lavorato come presentatore. Il produttore di Farage alla LBC aveva accompagnato Farage durante l’incontro, ma questo non era stato menzionato dalla Cadwalladr.[La giornalista] aveva invece insinuato che questo incontro fosse “potenzialmente … un canale di comunicazione” tra WikiLeaks, Farage e Donald Trump, tutti, almeno così si diceva, strettamente legati alla Russia, aggiungendo poi che questi personaggi erano “politicamente allineati” e che “WikiLeaks è, sotto molti aspetti, il vortice turbinante al centro di tutto.

In tutte queste speculazioni, l’unica fonte ufficiale agli atti della Cadwalladr era un “contatto molto ben posizionato e con legami con l’intelligence degli Stati Uniti,” che le aveva riferito: “Quando la situazione si fa incandescente e tutte le comunicazioni elettroniche, bisogna supporre, vengono intensamente monitorate, quelli sono i momenti in cui la comunicazione dell’intelligence ricade sui corrieri umani. Dove ci sono persone che si passano informazioni in modi e luoghi che non possono essere monitorati.

Sembra probabile che tutto questo sia stato dato in pasto all’Observer da qualcuno collegato all’intelligence, allo scopo di diffondere disinformazione e screditare Assange.

Tuttavia, nel 2018, il tentativo di diffamazione di Assange da parte del Guardian aveva fatto un notevole salto di qualità. Una nuova serie di articoli era iniziata il 18 maggio 2018 e, in uno di questi, si parlava di un presunto “rapporto di vecchia data tra Assange e RT,” l’emittente statale russa. La serie, come era stato attentamente documentato da altri blogger, era durata diversi mesi, sostenendo costantemente, con poche e assolutamente insignificanti prove circostanziali, che Assange avesse legami con la Russia o il Cremlino.

Un articolo, nuovamente co-firmato da Luke Harding, affermava che “Il Guardian è stato informato che diplomatici russi hanno tenuto colloqui segreti a Londra … con persone vicine a Julian Assange per valutare la possibilità di aiutarlo a fuggire dal Regno Unito.” L’ex console dell’ambasciata ecuadoriana a Londra dell’epoca, Fidel Narvaez, nega con forza l’esistenza di un tale “piano di fuga” che avrebbe coinvolto la Russia e ha denunciato il Guardian per aver insinuato una sua partecipazione al coordinamento di tale piano.

Questa apparente mini-campagna era durata fino a novembre 2018, culminando con un pezzo da prima pagina, basato su fonti anonime, in cui si sosteneva che Assange aveva avuto tre incontri segreti, presso l’ambasciata ecuadoriana, con l’ex direttore della campagna di Trump, Paul Manafort.

Questo “scoop” aveva fallito tutti i test di credibilità giornalistica, poiché sarebbe stato impossibile per chiunque entrare in un’ambasciata talmente protetta come quella ecuadoriana per tre volte di seguito senza lasciare prove. WikiLeaks ed altri hanno sostenuto con forza che la storia è stata inventata ed è significativo il fatto che, da allora, il Guardian non vi abbia più fatto riferimento nei suoi articoli sul caso Assange. Il Guardian, tuttavia, non ha ancora ritrattato e neanche si è scusato per l’articolo, che è tuttora presente sul suo sito web.

L’”esclusiva” era apparsa solo due settimane dopo che Paul Johnson aveva ricevuto i complimenti per “aver ristabilito i collegamenti” tra il Guardian e i servizi di sicurezza.

La serie di articoli del Guardian, insieme alla denigrazione e alla diffamazione di Assange da parte degli altri media britannici, ha contribuito a creare le condizioni per un accordo tra Ecuador, Regno Unito e Stati Uniti per l’espulsione di Assange dall’ambasciata ecuadoriana, avvenuta nel mese di aprile. Assange ora è internato nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, dove dovrà affrontare l’estradizione negli Stati Uniti, e il carcere a vita, in base ad accuse ai sensi dell’Espionage Act.

Agire per l’establishment

Un altro importante obiettivo degli sforzi del Guardian sotto la direzione della Viner è stato l’attacco al leader del Partito Laburista britannico, Jeremy Corbyn.

A grandi linee, la storia è che Corbyn sembra essere stato recentemente preso di mira dai servizi di sicurezza. Nel 2015, subito dopo la sua elezione a leader del Partito Laburista, il Sunday Times aveva lanciato un allarme generale, sostenendo che “ci sarebbe una sfida diretta da parte dell’esercito e dimissioni di massa, se Corbyn diventasse primo ministro.” La fonte aveva riferito al giornale: “L’esercito non lo sopporterebbe. Lo Stato Maggiore non permetterebbe ad un primo ministro di mettere a repentaglio la sicurezza di questo paese e penso che la gente userebbe ogni possibile mezzo, giusto o ingiusto, per impedirlo.”

Il 20 maggio 2017, poco più di due settimane prima delle elezioni generali del 2017, al Daily Telegraph era stata fatta arrivare un’indiscrezione secondo cui “il MI5 avrebbe un fascicolo aperto su Jeremy Corbyn riguardo alle preoccupazioni per i suoi collegamenti con l’IRA.” [La storia] faceva parte di un’indagine del Telegraph, che prometteva di rivelare “i saldi legami del sig. Corbyn con l’IRA” e proveniva da una fonte “vicina all’indagine del MI5,” secondo cui “era stato aperto un fascicolo su di lui [Corbyn] nei primi anni novanta.”

Si dice che anche un distaccamento speciale della Polizia Metropolitana indagasse su Corbyn nello stesso periodo.

Poi, alla vigilia stessa delle elezioni generali, il Telegraph aveva dato spazio ad un articolo di Sir Richard Dearlove, ex direttore del MI6, intitolato: “Jeremy Corbyn è un pericolo per questa nazione. Al MI6, di cui un tempo ero a capo, non avrebbe superato le verifiche di sicurezza.”

Inoltre, nel settembre 2018, due importanti fonti anonime governative avevano riferito al Times che Corbyn era stato “convocato” per una “chiacchierata ‘a cuore aperto’ sul terrorismo” dal capo del MI5, Andrew Parker.

Solo due settimane dopo che il governo aveva fatto trapelare la notizia di questo incontro privato, il Daily Mail aveva pubblicato un’altra indiscrezione, questa volta rivelando che “al consulente più importante di Jeremy Corby alla Camera dei Comuni era stato impedito di entrare in Ucraina, perché avrebbe rappresentato una minaccia alla sicurezza nazionale [ucraina] a causa dei suoi presunti legami con la ‘rete di propaganda globale’ di Vladimir Putin.

L’articolo riguardava Andrew Murray, che lavorava nell’ufficio di Corbyn già da un anno ma che non aveva ancora ricevuto il pass di sicurezza per entrare nel parlamento del Regno Unito. Il Mail riferiva, sulla base di quella che aveva definito “una importante fonte parlamentare,” che la richiesta di Murray aveva riscontrato “problemi di verifica.”

Murray aveva in seguito chiaramente fatto capire che erano stati i servizi di sicurezza ad aver fatto trapelare la storia al Mail. “Chiamatemi pure scettico, ma non vedo nessuna impresa giornalistica nell’improvvisa capacità del Mail di carpire [dal servizio di sicurezza ucraino] informazioni riservate,” aveva scritto sul New Statesman. Aggiungendo: “Qualcun’altro sta facendo il lavoro sporco, forse qualcuno pagato dai contribuenti. Dubito che la loro descrizione del [mio] lavoro impedisca l’elezione di un governo Corbyn, ma chi lo sa? ”

Murray ci aveva detto che era stato avvicinato dal New Statesman dopo che la storia del divieto di ingresso in Ucraina nei suoi confronti era diventata di dominio pubblico. “In ogni caso“, aveva aggiunto, “non mi sognerei mai di suggerire una cosa del genere al Guardian, dal momento che non conosco giornalisti che lavorino ancora lì di cui potrei fidarmi.”

Lo stesso Guardian aveva pubblicato numerosi pezzi e articoli di commento critici nei confronti di Corbyn sin da quando era stato eletto nel 2015 e la posizione chiaramente ostile del quotidiano è stata ampiamente notata.

Data la sua diffusione tra i tradizionali sostenitori del Partito Laburista, il Guardian ha probabilmente fatto di più per minare la reputazione di Corbyn di qualsiasi altro quotidiano. In particolare, la sua massiccia copertura del presunto antisemitismo diffuso nel Partito laburista ha contribuito a denigrare Corbyn più di altre calunnie riportate dai media.

Il Guardian e l’Observer hanno pubblicato centinaia di articoli su “L’antisemitismo del Partito Laburista” e, dall’inizio di quest’anno, ne hanno fatti uscire più di 50 con titoli chiaramente negativi per Corbyn. Ecco alcuni titoli esemplificativi “Il punto di vista dell’Observer: la leadership del Partito Laburista è complice dell’antisemitismo,” “Jeremy Corbyn o è cieco all’antisemitismo o, semplicemente, non gliene importa nulla” e “Il problema dell’antisemitismo del Partito Laburista è istituzionale. C’è bisogno di un’indagine.”

La copertura del Guardian sull’antisemitismo nel Partito Laburista è stata sospettosamente troppo marcata, rispetto all’effettiva importanza del problema all’interno del partito, e la sua attenzione su Corbyn come persona fa capire che la questione viene sfruttata politicamente.

Anche se l’antisemitismo esiste nel Partito Laburista, le prove suggeriscono che è a livelli veramente infimi. Da settembre 2015, da quando Corbyn è diventato il leader laburista, solo lo 0,06% dei membri del partito è stato indagato per commenti o post antisemiti.

Nel 2016, un’indagine indipendente commissionata dal Partito Laburista aveva concluso che il partito “non è invaso dall’antisemitismo, dall’islamofobia o da altre forme di razzismo. Inoltre, è il partito che ha promosso tutte le leggi sull’uguaglianza razziale nel Regno Unito. ”

I dati di due sondaggi YouGov, condotti nel 2015 e nel 2017, mostrano che le opinioni antisemite sostenute dagli elettori laburisti sono diminuite sostanzialmente nei primi due anni della gestione Corbyn e che tali opinioni sono significativamente più comuni tra gli elettori conservatori.

Nonostante ciò, da gennaio 2016, il Guardian ha pubblicato 1.215 articoli che parlavano di Partito Laburista e di antisemitismo, alla media di circa uno al giorno, secondo una ricerca su Factiva, il database degli articoli giornalistici. Nello stesso periodo, il Guardian ha pubblicato solo 194 articoli sul problema, molto più grave, che partito conservatore ha con l’islamofobia. Un sondaggio YouGov del 2019, ad esempio, ha rilevato che quasi la metà dei membri del partito conservatore preferirebbe non avere un primo ministro mussulmano.

Allo stesso tempo, alcune storie che dipingono i critici di Corbyn in una luce negativa sono state soppresse dal Guardian. Secondo una persona a conoscenza dei fatti, il Guardian ha rifiutato di pubblicare i risultati di un mese di importanti indagini di uno dei suoi reporter su un importante deputato laburista anti-Corbyn, sulla base di vaghi problemi legali.

Nel luglio 2016, uno degli autori di questo articolo aveva inviato un’e-mail ad un editore del Guardian, chiedendogli se [il quotidiano] avrebbe potuto iniziare un’indagine su un tentativo dell’ala destra del Partito Laburista di rimuovere Corbyn, informando il Guardian dell’esistenza di ottime fonti interne a conoscenza di coloro che erano dietro al tentativo e dei loro piani reali. L’approccio era stato respinto perchè privo di interesse prima ancora che venisse aperta un’indagine.

Una pubblicazione attendibile?

Il 20 maggio 2019, il quotidiano americano Times ha riferito di una richiesta, in base al Freedom of Information Act, fatta dal Rendition Project, un gruppo di esperti accademici che si occupa di tortura e di rendition, che mostrava come il MOD avesse “sviluppato una politica segreta sulla tortura che consente al ministero di autorizzare la condivisione dell’intelligence, cosa che [a sua volta] potrebbe portare a forme di abuso nei confronti dei detenuti.”

Questa avrebbe potuto benissimo essere stata una storia del Guardian, non qualcosa per il Times di di Rupert Murdoch. Secondo una fonte della società che si occupa di diritti civili, molti dei gruppi che lavorano in questo campo non si fidano più del Guardian.

Un ex giornalista del Guardian ci ha riferito la stessa cosa: “È significativo che, di recente, storie esclusive sulla collusione britannica con le pratiche di tortura e sulle forme di interrogatorio dei sospetti terroristi e di altri detenuti siano state date ad altri quotidiani, tra cui il Times, piuttosto che al Guardian.”

Il Times aveva pubblicato il suo scoop con un titolo forte, “Tortura: la Gran Bretagna infrange la legge con la politica segreta del Ministero della Difesa.” Tuttavia, prima che l’articolo fosse pubblicato, il MOD aveva fornito al Guardian gli stessi documenti che il Times stava per divulgare, credendo di poter attenuare l’impatto delle rivelazioni facendo trapelare [dal Guardian] la propria versione dei fatti.

Il Guardian aveva pubblicato il suo articolo subito prima del Times, con un titolo che avrebbe fatto piacere al governo: “Il Ministero della Difesa afferma che la revisione delle indicazioni alla tortura non ne diminuisce gli standard.”

Il paragrafo principale era un semplice riassunto della posizione del MOD: “Il Ministero della Difesa ha insistito sul fatto che la recente guida dipartimentale sulla condivisione con gli alleati dei dati di intelligence ottenuti con la tortura, rimane in linea con le pratiche concordate in conseguenza di una serie di scandali che si erano verificati dopo le guerre in Afghanistan e in Iraq.” Tuttavia, un’analisi dei documenti aveva mostrato che questa era chiaramente disinformazione.

Il Guardian era passato in sei brevi anni dall’essere il mezzo di informazione ideale per le storie che portavano alla luce le azioni illecite dello stato di polizia ad una piattaforma ritenuta affidabile dalle stesse autorità governative per amplificare le loro operazioni di [dis]informazione. Una piattaforma multimediale, un tempo relativamente indipendente, è stata completamente neutralizzata dai servizi di sicurezza del Regno Unito, timorosi di vedere ulteriormente esposte le loro magagne. Il che pone una domanda: a chi si rivolgerà il prossimo Snowden?

Matt Kennard and Mark Curtis

Fonte: dailymaverick.co.za

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