L’UE e il diritto d’autore. Rischio censura della rete.

L’UE e il diritto d’autore. Rischio censura della rete.

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Alla fine l’aula di Strasburgo ha approvato il 26 Marzo la legge sul copyright, con 348 sì (tra cui quelli di Pd e Forza Italia), 274 no (inclusi LegaMovimento 5 Stelle) e 36 astenuti, dopo avere respinto la proposta di 38 eurodeputati di riaprire il testo, votando gli emendamenti che erano stati depositati. Ora manca il voto unanime del Consiglio Europeo, composto dai rappresentanti dei governi degli stati membri (quindi per noi ci sarà Giuseppe Conte). Se in tale sede nessuno dovesse opporsi, i social network come Facebook, Youtube e Twitter si vedranno costretti ad adempiere agli obblighi della direttiva ancora prima della ratifica da parte dei singoli stati nazionali. Questo significa che dovranno acquisire una licenza con il mainstream (giornali e televsioni), e con i produttori di contenuti, per ognuno degli spezzoni, anche piccoli, di immagini, video o articoli che i contenuti degli utenti dovessero includere nei loro video o articoli, non importa se per fini di critica, di commento o di informazione.

La direttiva è un atto legislativo che stabilisce un obiettivo, un punto a cui tutti i Paesi europei devono arrivare. Non specifica esattamente che strada bisogna percorrere, ma lascia al Parlamento di ogni Stato la libertà di scegliere come fare, così che ognuno possa votare le leggi e le riforme migliori per il proprio territorio. Questo è uno dei punti deboli della direttiva sul copyright: per quanto vengano indicate delle linee guida generali, non è del tutto chiaro come poi verranno applicate effettivamente da ogni Paese. Cerchiamo dunque di orientarci nel labirinto di polemiche che hanno accompagnato il cammino della direttiva. L’obiettivo dichiarato, condivisibile, è quello di riformare e modernizzare le regole relative ai contenuti che circolano in rete soggetti a licenza (diritti d’autore, proprietà intellettuale, ecc.). Gli articoli di cui si è parlato di più negli ultimi mesi sono due: l’11 e il 13. Nella versione finale del testo si sono trasformati rispettivamente nel 15 e nel 17, ma il contenuto è rimasto praticamente lo stesso. L’obiettivo di questi punti, e in generale di tutta la direttiva, non è la censura; anche se di fatto c è il rischio che lo diventi. Il 15, ex articolo 11, all’inizio prevedeva che chi utilizzasse le anteprime degli articoli dovesse pagare un compenso all’editore. Si parlava di snippet, quelle anticipazioni di poche righe che appaiono quando, per esempio, un articolo compare sulle ricerche di Google. Nell’ultima versione questa norma è stata diluita: non si parla più di anticipazioni, ma di estratti molto brevi o singole parole, definizioni poco chiare che poi verranno interpretate dagli Stati membri quando dovranno tradurre la direttiva in legge. Il secondo articolo è il 17, ex 13. Questo articolo cerca di mettere un punto a una questione che negli ultimi anni sta diventando sempre più importante. Il testo infatti prevede che siano le piattaforme ad essere responsabili dei contenuti caricati. Un passaggio non indifferente per due motivi. Il primo è quello del monitoraggio. Facebook e YouTube hanno già messo in campi tecnologie e persone per riconoscere i contenuti che non rispettano le norme delle loro community. Un conto, però, è rispondere in modo tempestivo alle segnalazioni, un conto è essere responsabili del controllo di tutti i contenuti caricati dagli utenti. Il rischio, in questo caso, è un eccesso di censura che porterebbe le piattaforme, in caso di dubbio, a optare per la soluzione più semplice: eliminare il contenuto caricato. In ogni caso questo monitoraggio avrebbe costi sostenibili solo per le grandi aziende, non per quelle piccole.

I media interessati, a partire da Google, faranno largo ricorso ai cosiddetti “filtri di caricamento”, strumenti complessi assai costosi a disposizione di pochi, potenti software di intelligenza artificiale incaricati di ispezionare immense quantità di dati. Per quanto la normativa esenti dagli adempimenti i soggetti con modesto volume d’affari, ciò espellerà dal mercato chi non è in grado di svolgere i controlli prescritti. Rimarranno attivi, come in tutti gli altri settori economici, i colossi, alla faccia del totem della concorrenza e del libero mercato. Il rischio più evidente, già manifestatosi in numerosi episodi con protagonista Facebook, è che l’eliminazione dei contenuti sia realizzata non da soggetti umani, ma da algoritmi, equazioni e modelli matematici. I professionisti del settore ammettono che le grandi corporazioni tecnologiche, i soliti Google, Facebook, Apple, faranno largo uso di quelli che chiamano “falsi positivi”, ovvero eserciteranno la massima censura al minimo dubbio per evitare cause e richieste di indennizzo. La direttiva riconosce una certa libertà nell’ambito di semplici citazioni, ma è ben difficile che le sfumature di giudizio raggiungano i modelli matematici, che finiranno per generare meccanismi automatici di blocco. La normativa prevede che si possa ricorrere contro la censura “tecnologica”, ma indica come responsabili i gestori di servizi che permettono di condividere contenuti, obbligandoli di fatto a porre in essere filtri di cancellazione, cioè praticare una gigantesca censura. Solo la supervisione sarà di competenza umana, per cui l’esito è scontato: prima la chiusura, poi la richiesta di intervento su reclamo dell’utente “bannato”.

I primi sondaggi d’opinione segnalano una forte irritazione, sette europei su dieci intervistati ritengono che il parlamento europeo abbia utilizzato la proprietà intellettuale come alibi per tagliare la libertà di espressione. Si sono mossi intellettuali, docenti, scienziati, cittadini comuni. Una lettera aperta è stata firmata da oltre centotrenta manager di primo piano, convinti che le nuove disposizioni finiranno per danneggiare l’economia. Tra loro, spicca il nome di David Kaye, relatore delle Nazioni Unite per la libertà di espressione. Solo in superficie la direttiva è contraria agli interessi dei giganti di Silicon Valley. Non dimentichiamo che alcune settimane fa è stata rinviata a data da destinarsi la questione dell’imposizione di una (modesta) tassa europea a loro carico, i maggiori elusori ed evasori fiscali del pianeta attraverso meccanismi di deterritorializzazione e creazione di caroselli di imprese e giri di fatturazione che impediscono il prelievo fiscale. Il livello di pessimismo è grande, e riguarda sia l’impatto sugli utenti sia la pratica attuazione. E’ opinione corrente che l’articolato contenga contraddizioni palesi, alimentando una confusione tale da non poter fare previsioni, se non prendere atto che modificherà nel profondo il modo di vivere Internet. L’UE offre ai grandi motori di ricerca e alle reti sociali globali un nuovo potere e una grave responsabilità, in cambio di denaro da distribuire a editori, detentori di marchi, licenze e diritti d’autore, i loro grandi clienti pubblicitari. E’ una partita di giro, alla fine, in cui i grandi attori tecnologici ed economici se la cantano e se la suonano tra loro. Lottano per giganteschi profitti, come la raccolta pubblicitaria in rete, in mano per tre quarti a due soli soggetti, Google e Facebook.

Nessun riguardo, da parte loro, per i nostri interessi e per il diritto a sapere, diffondere, produrre contenuti, cioè idee, conoscenza, cultura.  Entro certi limiti possiamo comprenderlo, sono privati dediti unicamente al profitto. Ciò che maggiormante indigna è il servile atteggiamento di chi, il dannoso parlamento europeo, diventato organo interno delle grandi lobby, dovrebbe rappresentare la voce dei popoli, l’interesse generale, la dimensione pubblica. C’è solo da sperare nella capacità di mobilitazione popolare- che procede principalmente dalla Rete! – e nel castigo degli elettori alle forza politiche “di sistema” alle elezioni europee del 26 maggio, tale da rimettere in forse la direttiva. A livello italiano, conforta la presa di posizione governativa, da verificare quando la norma dovrà diventare legge dello Stato.

Fonti:

https://www.open.online/primo-piano/2019/03/26/news/direttiva_europea_copyright_il_testo_non_riguarda_wikipedia-179090/

https://scenarieconomici.it/con-byoblu-e-tanti-altri-amici-un-appello-per-la-liberta/
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