Riforma fiscale: dietro la riduzione Irpef, tutto per le imprese

Riforma fiscale: dietro la riduzione Irpef, tutto per le imprese

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Le politiche fiscali messe in campo nei paesi a capitalismo avanzato vanno tutte nella stessa direzione: salvaguardare, anche attraverso una imposizione fiscale assolutamente irrisoria, i profitti delle grandi imprese.

Soltanto un mese fa la riunione del G7 a Londra ha concluso un accordo, pomposamente definito “storico”, con il quale è stata stabilita una tassazione minima globale del 15% per le multinazionali.

Una aliquota che non si discosta molto da quella già oggi applicata in quei paradisi fiscali collocati nel cuore dell’Europa (Irlanda, Olanda, Lussemburgo, Svizzera e non qualche strano paese esotico…) e che è sensibilmente inferiore alla tassazione minima (23%) prevista nel nostro paese per un lavoratore che percepisce un salario fino a 15.000 euro, ovvero un salario da fame…

La corsa a ridurre il carico fiscale nei confronti delle imprese è quindi un tratto caratteristico: nel nostro paese l’imposta societaria è progressivamente scesa dal 50% del 1974 sino ad arrivare con il governo Renzi al 24%, mentre i redditi dei soci delle società di capitali sono stati sottratti alla progressività dell’imposta e pagano di fatto una flat tax del 26%.

La proposta di “Riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche ed altri aspetti del sistema tributario” presentata in questi giorni dalla Commissione Finanze, che fungerà da indirizzo politico per la legge delega che il Governo si è impegnato a presentare entro il 31 luglio 2021, si colloca in questa scia.

Chi si aspettava, quindi, una proposta di riforma fiscale che affrontasse la profonda diseguaglianza che pervade il nostro sistema di tassazione e che proprio gli effetti dell’emergenza sanitaria ha fatto deflagrare, è destinato a rimanere deluso.

Il documento si caratterizza da un lato per la palese mancanza di quegli interventi diretti a riequilibrare il carico fiscale e al contempo per la riproduzione di un modello che, dietro la foglia di fico della riduzione dell’Irpef per una determinata fascia di reddito, in realtà continua, come nulla fosse, a riaffermare un modello fondato sulla centralità dell’impresa e del profitto.

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La propaganda sull’”eccesso di tassazione”, generalmente portata avanti da chi campa o fa largo uso dello strumento dell’evasione o dell’elusione fiscale, o sull’evasione ascrivibile all’eccessivo carico fiscale, approda quindi ad una proposta di riforma che si muove sui seguenti assi:

  • abbassamento dell’aliquota media effettiva relativa ai contribuenti compresi nella fascia di reddito tra i 28.000 e i 55.000 euro (circa 7 milioni di contribuenti) e modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive per eliminare le discontinuità più brusche; ma occorre non farsi alcuna illusione perché da un lato la “razionalizzazione” delle detrazioni fiscali potrebbe assorbire gli eventuali vantaggi fiscali della riduzione dell’aliquota in questione, e, dall’altro, in mancanza di una vera progressività dell’imposta la copertura di tale interventi si risolverà nell’ulteriore taglio dei servizi pubblici senza minimamente intaccare i redditi alti;

  • superamento dell’Irap che, come è noto, costituisce una voce importante del finanziamento del SSN che, in tal maniera subirebbe un altro importante definanziamento proprio in una fase in cui la necessità del suo potenziamento è sotto gli occhi di tutti;

  • riduzione del prelievo sulle rendite finanziarie (di 3 punti percentuali) attualmente fissato al 26% che, lungi dal produrre qualsiasi effetto redistributivo, favorirà i più ricchi, considerato che la ricchezza si concentra, e l’emergenza sanitaria ha acuito questa tendenza, in larghissima parte tra le fasce più abbienti della popolazione

  • reintroduzione dell’IRI (imposta sul reddito di impresa), ovvero della possibilità per le imprese individuali e società di persone in contabilità ordinaria di optare per l’applicazione di una aliquota proporzionale e previsione di incentivi per le società soggette ad Ires.

Quello che sarebbe necessario invece, e l’USB da tempo ha avanzato proposte puntuali in merito, è invertire radicalmente la natura profondamente classista del nostro sistema fiscale ed allinearlo al dettato costituzionale con:

  • una vera progressività dell’imposta da attuare tramite una organica revisione delle aliquote e degli scaglioni di reddito al fine di aumentare, in un’ottica davvero redistributiva, la tassazione e quindi le aliquote applicabili nei confronti dei redditi più alti, alleggerendo al contempo il carico su quelli più bassi;

  • la riconducibilità nell’ambito della progressività delle imposte di quei redditi da capitale (interessi sui titoli, dividendi, plusvalenze, ecc) che oggi sono tassati con cedolari secche e le cui aliquote la proposta di riforma del Governo addirittura abbassa;

  • l’aumento dell’aliquota societaria e il ripristino del sistema del credito di imposta vigente prima del 2004;

  • l’abolizione dell’Iva sui beni di prima necessità, relegando l’applicabilità di questa imposta ai beni di lusso e non necessari;

  • una patrimoniale che colpisca le grandi ricchezze, facendo salve le prime case o le seconde case per mero valore d’uso frutto dei risparmi acquisiti nell’arco della vita lavorativa.

Queste proposte sono ora più che mai attuali e necessarie e confliggono frontalmente con gli interessi che esprime il governo Draghi e l’union sacree radunatasi attorno alla sua figura.

Un autunno che si annuncia particolarmente caldo per effetto dello sblocco dei licenziamenti, della totale mancanza di forme di sostegno al reddito e per gli effetti devastanti che il PNRR produrrà sugli assetti produttivi, non potrà non vedere al centro dell’iniziativa sindacale dell’USB anche il tema della profonda redistribuzione delle risorse del quale il Fisco costituisce uno strumento decisivo.

Tratto da: Contropiano.org

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