Pepe Escobar – Valdai, la risposta orientale a Davos. “Non ci sarà una nuova Yalta”

Pepe Escobar – Valdai, la risposta orientale a Davos. “Non ci sarà una nuova Yalta”

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Tempo di lettura: 6 min

di Pepe Escobar – The Cradle

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

Fonte: L’Antidiplomatico

La 12a “Conferenza sul Medio Oriente”, tenutasi al Valdai Club di Mosca, ha offerto una più che gradita cornucopia di opinioni sui problemi e le tribolazioni interconnesse che affliggono la regione.

 

Ma prima, una parola importante sulla terminologia – come solo uno degli ospiti del Valdai si è preso la briga di sottolineare. Questo non è il “Medio Oriente” – una nozione riduzionista e orientalista ideata dai vecchi colonizzatori: noi di The Cradle sottolineiamo che la regione deve essere correttamente descritta come Asia Occidentale.

Alcune delle prove e delle tribolazioni della regione sono state tracciate dal rapporto ufficiale Valdai, The Middle East and The Future of Polycentric World  [Il Medio Oriente e il futuro del mondo policentrico]. Ma anche il peso intellettuale e politico dei partecipanti può fornire preziosi spunti aneddotici. Ecco alcuni dei principali aspetti evidenziati dai partecipanti sugli sviluppi regionali, attuali e futuri:

Il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov ha preparato il terreno sottolineando che la politica del Cremlino incoraggia la formazione di un “sistema di sicurezza regionale inclusivo”. È esattamente ciò che gli americani si sono rifiutati di discutere con i russi nel dicembre 2021 e che poi hanno applicato all’Europa e allo spazio post-sovietico. Il risultato è stata una guerra per procura.

Kayhan Barzegar dell’Università Islamica Azad in Iran ha qualificato i due principali sviluppi strategici che interessano l’Asia occidentale: un possibile ritiro degli Stati Uniti e un messaggio agli alleati regionali: “Non potete contare sulle nostre garanzie di sicurezza”.

Ogni vettore – dalla rivalità nel Caucaso meridionale alla normalizzazione israeliana con il Golfo Persico – è subordinato a questa logica, osserva Barzegar, con non pochi attori arabi che hanno finalmente compreso che ora esiste un margine di manovra per scegliere tra il blocco occidentale o quello non occidentale.

Barzegar non identifica i legami Iran-Russia come un’alleanza strategica, ma piuttosto come un blocco geopolitico ed economico basato sulla tecnologia e sulle catene di approvvigionamento regionali – un “nuovo algoritmo in politica” – che spazia dagli accordi sulle armi alla cooperazione nucleare ed energetica, guidato dal rinnovato orientamento di Mosca verso sud e verso est. Per quanto riguarda le relazioni tra Iran e Occidente, Barzegar è ancora convinto che il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), o accordo sul nucleare iraniano, non sia morto. Almeno non ancora.

 

“Nessuno sa quali siano queste regole”

L’egiziano Ramzy Ramzy, fino al 2019 vice inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, considera la riattivazione delle relazioni tra Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti con la Siria come il più importante riallineamento in corso nella regione. Per non parlare delle prospettive di una riconciliazione Damasco-Ankara. “Perché sta accadendo? Perché il sistema di sicurezza regionale è insoddisfatto del presente”, spiega Ramzy.

Tuttavia, anche se gli Stati Uniti si stanno allontanando, “né la Russia né la Cina sono disposte ad assumere un ruolo di leadership“, afferma. Allo stesso tempo, “non si può permettere che la Siria sia preda di interventi esterni”. Il terremoto ha almeno accelerato questi riavvicinamenti“.

Bouthaina Shaaban, consigliere speciale del Presidente siriano Bashar al-Assad, è una donna straordinaria, focosa e schietta. La sua presenza al Valdai è stata a dir poco elettrica. Ha sottolineato come “dopo la guerra degli Stati Uniti in Vietnam, abbiamo perso ciò che abbiamo visto come media liberi. La stampa libera è morta“. Allo stesso tempo “l’Occidente coloniale ha cambiato i suoi metodi”, subappaltando le guerre e affidandosi a quinte colonne locali.

Shaaban ha offerto la migliore definizione in breve dell'”ordine internazionale basato sulle regole”: “Nessuno sa quali siano queste regole e quale sia questo ordine.”

Ha ribadito che in questo periodo di post-globalizzazione che sta dando vita a blocchi regionali, le solite ingerenze occidentali preferiscono utilizzare attori non statali – come in Siria e in Iran – “incaricando i locali di fare ciò che gli Stati Uniti desirerebbero fare”.

Un esempio cruciale è la base militare statunitense di al-Tanf, che occupa il territorio siriano sovrano su due confini critici. Shaaban definisce la creazione di questa base “strategica, per gli Stati Uniti, per impedire la cooperazione regionale, al crocevia tra Iraq, Giordania e Siria“. Washington sa bene cosa sta facendo: il commercio e i trasporti senza ostacoli al confine tra Siria e Iraq sono un’importante ancora di salvezza per l’economia siriana.

Ricordando ancora una volta che “tutte le questioni politiche sono collegate alla Palestina”, Shaaban ha anche offerto una sana dose di cupo realismo: “Il blocco orientale non è stato in grado di corrispondere alla narrativa occidentale.”

 

Una “guerra per procura a doppio livello”.

Cagri Erhan, rettore dell’Università di Altinbas in Turchia, ha offerto una definizione abbastanza comoda di egemone: colui che controlla la lingua franca, la moneta, il quadro giuridico e le rotte commerciali.

Erhan qualifica l’attuale situazione egemonica occidentale come una “guerra per procura a doppio strato” contro, ovviamente, Russia e Cina. I russi sono stati definiti dagli Stati Uniti come un “nemico aperto” – una minaccia importante. E quando si tratta di Asia occidentale, la guerra per procura la fa ancora da padrona: “Gli Stati Uniti non si ritirano“, afferma Erhan. Washington prenderà sempre in considerazione la possibilità di utilizzare l’area “in modo strategico contro le potenze emergenti“.

Che dire poi delle priorità di politica estera dei principali attori dell’Asia Occidentale e del Nord Africa?

Il giornalista politico algerino Akram Kharief, editore del sito online MenaDefense, insiste sul fatto che la Russia dovrebbe avvicinarsi all’Algeria, “che è ancora nella sfera d’influenza francese“, e diffidare di come gli americani stiano cercando di dipingere Mosca come “una nuova minaccia imperiale per l’Africa“.

Il professor Hasan Unal dell’Università di Maltepe, in Turchia, ha spiegato chiaramente come Ankara si sia finalmente “liberata dei suoi grovigli con il Medio Oriente [l’Asia occidentale]”, mentre prima “si stava mettendo contro tutti”.

Potenze di medie dimensioni come la Turchia, l’Iran e l’Arabia Saudita stanno ora salendo alla ribalta della scena politica della regione. Unal fa notare come “la Turchia e gli Stati Uniti non la pensano allo stesso modo su qualsiasi questione importante per Ankara“. Questo spiega certamente il rafforzamento dei legami turco-russi – e il loro reciproco interesse a introdurre “soluzioni multi-sfaccettate” ai problemi della regione.

Per esempio, la Russia sta mediando attivamente il riavvicinamento Turchia-Siria. Unal ha confermato che i ministri degli Esteri siriano e turco si incontreranno presto di persona – a Mosca – e questo rappresenterà il più alto impegno diretto tra le due nazioni dall’inizio della guerra siriana. E questo aprirà la strada a un vertice tripartito tra Assad, il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan.

È da notare che le grandi riconciliazioni regionali si tengono – ancora una volta – a Mosca o con la sua partecipazione, che può essere giustamente descritta come la capitale del mondo multipolare del XXI secolo.

Per quanto riguarda Cipro, Unal osserva che “la Russia non sarebbe interessata a uno Stato unificato che sarebbe territorio dell’UE e della NATO“. È quindi tempo di “idee creative: come la Turchia sta cambiando la sua politica sulla Siria, la Russia dovrebbe cambiare la sua politica su Cipro“.

Il dottor Gong Jiong, del campus israeliano della China’s University of International Business and Economics, ha proposto un neologismo accattivante: la “Coalizione dei Non-volenterosi” – descrivendo come “quasi tutto il Sud Globale non sostiene le sanzioni alla Russia“, e certamente nessuno degli attori dell’Asia Occidentale.

Gong ha osservato che, poiché il commercio tra Cina e Russia sta aumentando rapidamente – in parte come conseguenza diretta delle sanzioni occidentali – gli americani dovrebbero pensarci due volte sulle sanzioni che colpiscono la Cina. Dopo tutto, il commercio tra Russia e Cina ammonta a 200 miliardi di dollari all’anno, mentre quello tra Stati Uniti e Cina è di ben 700 miliardi di dollari all’anno.

La pressione sul “campo della neutralità” non cesserà comunque. Ciò che serve alla “maggioranza silenziosa” del mondo, come la definisce Gong, è “un’alleanza“. Egli descrive il piano di pace cinese in 12 punti per l’Ucraina come “un insieme di principi” – la base di Pechino per negoziati seri: “Questo è il primo passo”.

 

Non ci sarà una nuova Yalta

Ciò che i dibattiti di Valdai hanno chiarito, ancora una volta, è che la Russia è l’unico attore in grado di avvicinarsi a tutti gli attori dell’Asia Occidentale e di essere ascoltato con attenzione e rispetto.

È stato lasciato ad Anwar Abdul-Hadi, direttore del dipartimento politico dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e inviato ufficiale di quest’ultima a Damasco, il compito di sintetizzare ciò che ha portato all’attuale situazione geopolitica globale: “Una nuova Yalta o una nuova guerra mondiale? Loro [l’Occidente] hanno scelto la guerra“.

E ancora, mentre continuano a emergere nuove linee di faglia geopolitiche e geoeconomiche, è come se l’Asia Occidentale stesse anticipando qualcosa di “grande”. Questa sensazione era palpabile nell’aria a Valdai.

Parafrasando Yeats e aggiornandolo al giovane e turbolento XXI secolo, “quale rozza bestia, giunta finalmente la sua ora, si accuccia verso la culla [della civiltà] per nascere“?

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