Le nuove leve della mafia

Le nuove leve della mafia

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I figli dei mafiosi oggi studiano nelle migliori Università e si muovono per operare nell’alta finanza

I giovani rappresentano il futuro delle mafie. Eredi, protagonisti, consapevoli o inconsapevoli, sfruttati come manovalanza, sono sicuramente la linfa vitale per la sopravvivenza della criminalità organizzata. Ricoprono una vasta gamma di ruoli.

I gruppi criminali organizzati allevano e sfruttano i giovani. Le reclute sono utili. Possono riscuotere le estorsioni, lavorare nei laboratori di cocaina o essere costretti a prostituirsi. Possono anche spacciare e contrabbandare droga, sono usati come assassini e sono spesso inviati in prima linea negli scontri a fuoco. Molti ragazzi sono addestrati all’uso delle armi da fuoco sin da adolescenti, spesso, con un test d’iniziazione (es. uccidere a sangue freddo un animale). I figli dei boss hanno una vita più agevole. Oggi, in gran parte, frequentano le migliori Università del mondo, ma sempre con la finalità ultima un giorno di assumere il comando dell’organizzazione criminale ereditata dal genitore. Sono pochissimi quelli che rinunciano all’eredità del ruolo criminale, infatti, è una grandissima forma di distacco difficilissimo da attuarsi. I ragazzi sfruttati sono attratti da questi gruppi criminali a causa del potere e del denaro che possiedono e che ostentano. Affinché le nuove reclute possano scalare la gerarchia criminale e raggiungere quel potere e denaro, devono conquistare la fiducia con le loro capacità delittuose anche a costo della vita.

A Napoli a dieci anni si comincia a vendere droga per il clan camorristico. Ti danno una pistola e una zona della città da utilizzare come vedetta o come spacciatore e corriere. In una trasmissione di Michele Santoro anni fa un minore napoletano disse che “uccidere le persone è facile se non guardi le loro facce” senza mostrare alcun accenno di emozione o pietà. Se andassimo all’estero, i narcos messicani e colombiani usano i minori come killer tra i più spietati. Efren un minore messicano di soli tredici anni intervistato dalla Cnn su quanti omicidi avesse commesso per i cartelli della droga disse di aver perso il conto del numero di persone che ha ucciso. “Non sapevo nemmeno perché li stavo uccidendo”.

Tornando ai figli dei mafiosi, oggi studiano nelle migliori Università e si muovono per operare nell’alta finanza. È ormai un dato di fatto. Ci sono ovviamente anche i figli dei mafiosi che non studiano, cercano la strada facile della violenza, dell’estorsione e della rapina, ma qui siamo nella mafia di secondo livello non certo in quella moderna, mercatistica e corruttrice. Per quest’ultima si registrano sia una modernizzazione delle strategie criminali, sia un consistente abbassamento dell’età d’iniziazione malavitosa.

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Le nuove generazioni si affrancano dai vecchi boss e dai loro metodi tra cui, l’uso indiscriminato della violenza. È in atto da qualche tempo una trasformazione della cultura mafiosa – in alcuni casi voluta anche dai vecchi boss più illuminati – che investe anche il linguaggio, al passo con l’evoluzione dei tempi. Non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni, oscure e cariche di prepotenza, quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente i giovani affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l’intercettazione dei messaggi.

Oggi si assiste a un ringiovanimento delle nuove mafie con una sempre maggiore presenza di parenti all’interno della gerarchia di comando. Nella camorra, ad esempio, le alleanze sono rafforzate da matrimoni tra giovani di gruppi criminali diversi. Questo accade più di rado anche con la ndrangheta e la mafia siciliana. I gruppi criminali più giovani mirano a occupare i mercati legali attraverso logiche imprenditoriali volte a massimizzare i profitti e a ridurre al minimo i rischi. Cercano collaborazioni esterne per instaurare rapporti di scambio con ambienti politico-istituzionali. Le nuove leve hanno creato una struttura di natura reticolare che tende a infiltrare i luoghi del potere decisionale ed economico finanziario, e nel cui ambito i singoli clan ora stringono alleanze funzionali all’ottenimento di obiettivi precisi. L’atteggiamento violento, infatti, permane ma è inteso come l’extrema ratio solo in caso siano minacciati gli interessi delle organizzazioni criminali.

Le nuove generazioni mafiose utilizzano ancora i vecchi riti di affiliazione, ma soltanto perché sono funzionali per definire appartenenza e gerarchie interne, per rafforzare il senso d’identità e per dare riconoscibilità all’esterno, anche in contesti extraregionali e persino internazionali. Le nuove mafie sono proiettate verso ambiti mercatistici e contaminano l’economia legale con il monopolio di interi settori, da quello sanitario, a quello edilizio e immobiliare o delle concessioni di appalti e opere pubbliche. La loro caratteristica peculiare è la transnazionalità utilizzata come strategia espansionistica finalizzata innanzitutto a riciclare e reimpiegare i capitali illeciti, utilizzando tecniche di occultamento sempre più artefatte, frutto principalmente del traffico internazionale di stupefacenti. Le nuove generazioni di mafiosi hanno scelto la loro strada: “meno violenza e più affari”. Questa nuova direzione non è stata ancora compresa a fondo e accendere una luce per una riflessione su questo problema sarebbe molto importante soprattutto nel percorso di lotta alle nuove mafie.

Tratto da: huffingtonpost.it, Antimafiaduemila

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