Pedofilia: l’Alta Corte proscoglie il cardinale Pell da accuse per “ragionevole dubbio”

Pedofilia: l’Alta Corte proscoglie il cardinale Pell da accuse per “ragionevole dubbio”

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Prosciolto dalle accuse di pedofilia per “ragionevole dubbio”. E’ la decisione dell’Alta Corte australiana, paragonabile alla Suprema Corte di Cassazione italiana, nel procedimento aperto contro il cardinale australiano George Pell. L’ex ministro delle Finanze vaticane era stato condannato a sei anni di carcere sia in primo grado che dalla Corte d’Appello dello stato di Victoria, sulla base di cinque capi di imputazione, rendendolo il primo vescovo dichiarato colpevole in un tribunale penale per abusi sessuali su minori.
Ma nella sua sentenza di martedì, l’Alta Corte ha riscontrato che per tutti e cinque i capi di accusa, c’erano molte eventualità improbabili che non erano state completamente considerate dalla giuria. In particolare, secondo i giudici, la Corte d’Appello di Victoria, che lo scorso agosto aveva confermato la sentenza di condanna del cardinale George Pell, “ha mancato di affrontare la questione se rimaneva una ragionevole possibilità che il reato non avesse avuto luogo”, cioè dell’assenza di ogni ragionevole dubbio.
Pell era stato riconosciuto colpevole di abusi su due chierichetti di 13 anni, ragazzi del coro della cattedrale di St. Patrick, a Melbourne, negli anni ’90. Era stata la polizia dello Stato di Victoria ad accusare Pell di abusi sessuali ai danni dei due adolescenti, noti come “J” e “R”, commessi nel 1996 e 1997 nella cattedrale di cui era arcivescovo. Inizialmente gli era stata anche imputata la responsabilità di altri casi di pedofilia avvenuti nella sua città di origine, Ballarat, e risalenti agli anni ’70, ma le indagini erano state poi archiviate. Durante il processo il 30enne “J” ha testimoniato a porte chiuse, mentre per “R”, l’altra presunta vittima deceduta nel 2010 per un’overdose come conseguenza – ha sostenuto l’accusa – degli abusi subiti, a testimoniare è stato il padre.
Secondo i giudici dell’Alta Corte, però, vi erano anche altre testimonianze in cui si diceva che Pell, allora arcivescovo di Melbourne, solitamente salutasse i parrocchiani sulle scale davanti alla cattedrale, per periodi fino a 15 minuti dopo la messa, gli stessi minuti in cui era accusato delle molestie avvenute nella sacrestia.
Nel marzo 2019 Pell fu giudicato colpevole all’unanimità da una giuria popolare – dopo che un primo giudizio, risalente al dicembre 2018, era stato annullato per disaccordo tra i suoi membri – e condannato a 6 anni di carcere.
Nel giudizio, confermato in appello ad agosto 2019 dalla Corte suprema dello Stato di Victoria, i tre giudici si erano spaccati: due avevano ratificato la precedente condanna mentre il terzo aveva dato ragione al porporato. George Pell, che si era sempre proclamato innocente, adesso si troverebbe in un monastero claretiano a Melbourne.
Al di là della sentenza che ha prosciolto Pell dalle accuse, sulla sua figura restano “ragionevoli dubbi”. Perché accanto alle “ombre” che riguardano lo specifico caso che lo ha portato davanti ad un Tribunale vi sono le decine e decine di testimonianze, di ragazzi e ragazze che nel corso delle audizioni della Royal Commission, una commissione nazionale voluta dal governo di Camberra, hanno additato Pell come un insabbiatore, come un uomo che ha sistematicamente difeso i pedofili australiani, come un vescovo che ha inventato un sistema di risarcimenti usato in realtà “per distruggere e controllare le vittime e difendere l’immagine e la cassaforte della Chiesa”. Su l’Espresso e nel libro “Lussuria”, il giornalista Emiliano Fittipaldi, ha documentato come Pell abbia chiesto a famiglie distrutte di accettare, per chiudere definitivamente il caso nel civile, 30 mila euro o come il cardinale abbia accompagnato sottobraccio pedofili seriali come l’amico Gerald Ridsdale (condannato alla fine per aver violentato decine di bambini) in tribunale. Altre vittime hanno raccontato – in testimonianze giurate – come Pell abbia cercato di comprare il proprio silenzio. Insomma anche in questo caso non ci si può fermare alla semplice sentenza. E a ben vedere, come hanno scritto i giudici della Royal Commission in una relazione del 2015, il comportamento di Pell è comunque “poco cristiano”.

Tratto da: Antimafiaduemila

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