Le parole di Sebastiano Ardita scacciano i fantasmi, gli incappucciati, gli indifferenti

Le parole di Sebastiano Ardita scacciano i fantasmi, gli incappucciati, gli indifferenti

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Non dimentichiamo da dove veniamo. Siamo quelli del 1992.
Quanti colleghi di Sebastiano Ardita, leggendo le sue parole che sembrano d’altri tempi, esplodendo in un’Italia che di quei tempi, quelli del ’92, pare non voglia più sentire neanche l’odore, saranno arrossiti di vergogna.
Magari in solitudine, magari di nascosto; perché ogni singola parola di questo breve testo del magistrato Ardita, vanno a colpire dentro la sua categoria, laddove fanno più male: l’indifferenza indolente, l’abulia, la pigrizia mentale, il minimalismo cinico, lo scetticismo che tiene d’occhio gli scatti di carriera, l’equidistanza che fa dormire fra due guanciali.
Testo breve, dicevamo. Che se fosse stato più lungo, sarebbe scaduto in filippica di parte. E totalmente privo di rancore.
Ha fatto benissimo Giorgio Bongiovanni, ripescandolo dal profilo Facebook di Ardita, a dargli rilievo sulle pagine di ANTIMAFIADuemila.
Sebastiano Ardita ci racconta questi suoi ultimi sei anni a fianco di Nino Di Matteo.
Le solitudini.
Le paure.
L’essere costretti a difendersi da accuse inventate e ingiuste, dal fuoco amico, dalle lerce campagne di certa stampa che riceve ossigeno non dai lettori, ma semplicemente in forza del suo lavoro sporco.
Le parole di Ardita ci fanno capire quanto è successo dentro il Csm, la Casa Madre dei giudici italiani.
Come niente fosse scontato. Come tutto potesse precipitare da un momento all’altro. Come nessuno, neanche dentro la Casa Madre dei giudici, ti regala mai niente.
Dicevamo di chi, inevitabilmente, sarà arrossito, dopo avere in questi anni mostrato freddezza e disappunto verso colleghi come Ardita, Di Matteo e, per fortuna, anche tanti altri. Visti invece come esemplari punti di riferimento da centinaia e centinaia di giovani magistrati italiani capaci, in occasione delle votazioni Csm, di un gigantesco scatto d’ orgoglio dopo “lo scandalo Palamara”.
E la formula vincente, non vediamo altra morale della favola, ci sembra quella di far proprie le parole di Antonio Gramsci quando a proposito del fascismo scriveva: “Odio gli indifferenti”.
Perché se si fosse data via libera agli “indifferenti” – e questo ci permettiamo di aggiungerlo noi – anche “i ragazzi del 1992” sarebbero stati inghiottiti nelle paludi di una magistratura che non sarebbe stata più figlia di nulla, e di nessuno.

di Saverio Lodato

Cronaca Italia