Cresce il lavoro breve, solo un contratto su 100 dura più di un anno

Cresce il lavoro breve, solo un contratto su 100 dura più di un anno

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L’occupazione in Italia continua a crescere. E questa è certamente una buona notizia. Solo che di questi nuovi contratti appena lo 0,5% ha una durata superiore all’anno

Di Claudia Voltattorni

L’occupazione in Italia continua a crescere. E questa è certamente una buona notizia. Parlano chiaro i dati della Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione per il secondo trimestre del 2022 elaborati da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal: crescono le posizioni lavorative dipendenti (+ 159 mila in tre mesi e + 735 mila in un anno per il ministero del Lavoro); crescono i contratti a tempo indeterminato (+310 mila rispetto al 2021) e anche quelli a tempo determinato (+ 425 mila) in aumento per il quinto trimestre consecutivo.

Solo che di questi appena lo 0,5% ha una durata superiore all’anno, mentre il 37% dura meno di 30 giorni. Il 36% delle nuove posizioni a termine va da 2 a 6 mesi; il 23,7% massimo una settimana; il 13,3% solo 1 giorno. Ed è il settore dell’informazione e della comunicazione, che include attività cinematografiche, televisive ed editoriali spiega la Nota, a registrare il record del 63,8% dei contratti di appena una giornata. Nel secondo trimestre sono cresciuti i contratti di appena una settimana nei comparti di Pubblica amministrazione, istruzione e sanità, i servizi di mercato e alberghi e ristorazione, dove però, con la fine delle restrizioni e la ripartenza del turismo, aumenta anche la durata che va da 6 mesi ad un anno.

Viene sottolineato però che in determinati comparti come agricoltura, alberghi e ristorazione, istruzione, «c’è una considerevole variabilità delle durate nei quattro trimestri dell’anno dovuta alla rilevante incidenza del lavoro stagionale o concentrato in alcuni periodi dell’anno». Nell’industria diminuiscono i contratti più brevi (fino a 2 mesi) e crescono quelli da 2 mesi ad un anno. Ci sono poi le altre forme di lavoro ancora più precarie con i lavoratori a chiamata, in somministrazione e gli occasionali. Rispetto al 2021,sia i primi che i secondi sono cresciuti dell’11,5% e del 48,2%, anche grazie alla fine dell’emergenza sanitaria. E tra queste tipologie contrattuali si trovano quei working poor che in Italia hanno superato quota 3 milioni.

Tratto da: Corriere.it

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