In Italia a mancare è il lavoro e non i lavoratori, certifica l’Istat

In Italia a mancare è il lavoro e non i lavoratori, certifica l’Istat

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Venerdì 6 agosto l’Istat ha diffuso la nota sulle stime preliminari del tasso di posti vacanti in tutte le imprese con dipendenti dell’industria e dei servizi, aggiornate al secondo trimestre del 2021.

I dati sono impietosi. Nel secondo trimestre 2021, il tasso di posti vacanti per il totale delle imprese con dipendenti si attesta all’1,3% per il totale dell’economia, con l’industria che registra l’ 1,4% e i servizi l’1,6% – dati che tornano in linea con quanto registrato a fine 2019.

Per capirci, come informa direttamente l’Istat, la variabile “posti vacanti” si riferisce alle ricerche di personale che, all’ultimo giorno del trimestre di riferimento, sono iniziate e non ancora concluse, ossia i posti di lavoro retribuiti per i quali l’impresa cerca attivamente (al di fuori del proprio personale) un/a candidato/a ed è pronta a fare uno sforzo economico per assumerlo/a.

Il tasso di posti vacanti è calcolato come il rapporto percentuale fra il numero di posti vacanti e la somma di questi ultimi con le posizioni lavorative occupate.

A giungo 2021, sempre l’Istat registrava il tasso di occupazione nazionale al 57,9%, vuol dire che nella fascia d’età tra i 15 e i 64 anni, tra tutti i cittadini abili a lavoro e non impegnati in un percorso formativo (scuola, università, ecc.), neanche 6 su 10 di questi aveva accesso a una fonte di reddito diretta da lavoro (dipendente o autonomo, senza considerare qui la “qualità del lavoro”).

A questa bassa percentuale (la seconda peggior performance in Ue, davanti solo alla Grecia e subito dopo la Spagna), il tasso di posti vacanti informa che il sistema produttivo italiano sarebbe in grado di assorbire immediatamente l’1,3% di posizioni lavorative in più (quindi neanche “teste”, viste le possibilità di doppio impiego) rispetto a quelle attualmente attive.

Il tutto, lo ripetiamo, senza considerare la bontà o meno della domanda lavorativa (in termini di retribuzione, sicurezza, durata contrattuale ecc.).

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Cosa significa? Che in Italia, decenni di sciopero degli investimenti pubblici e privati, deindustrializzazione del sistema produttivo, deregolamentazione dei mercati finanziari, deflaziona salariale e privatizzazione del welfare hanno creato un ambiente economico incapace di creare posti di lavoro e dunque “ricchezza reale” (qui, indipendentemente dalla sua redistribuzione).

Le tanto sbandierate politiche attive del lavoro, in procinto di una robusta revisione come da tempo annunciato dal ministro del lavoro Orlando (targa Pd, quello della Minniti-Orlando, per capire il valore del personaggio…), poco potranno fare in assenza di lavoro a cui destinare chi si mette in cerca di un’occupazione.

È bene tenerlo a mente, quando i Renzi o i Brunetta di turno chiamano alla sofferenza o ai fannulloni per indicare la scarsa propensione al sacrificio di chi non riesce, non diciamo a sbancare il lunario, ma neanche a mettere insieme il pranzo con la cena (a oggi in Italia, quasi 6 milioni persone vivono sotto la soglia di povertà assoluta, il doppio sotto quella relativa).

Onde evitare di scambiare l’odio di classe per “buoni consigli”.

Tratto da: Contropiano

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Cronaca Economia Italia