Il buco nell’acqua del bilancio europeo

Il buco nell’acqua del bilancio europeo

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Andrea Muratore

Fumata nera a Bruxelles nel primo round negoziale del bilancio comunitario. I Paesi europei hanno respinto, di fatto, la proposta del presidente belga del Consiglio europeo, Charles Michel, sul bilancio settennale che dovrà inaugurare la prima fase strategica comunitaria del dopo Brexit.

Il nodo principale, il contributo di 75 miliardi di euro lasciato vacante da Londra e le modalità con cui ripartirlo nell’Unione, non è stato sciolto. Attorno alla ripartizione tra i Paesi membri della quota britannica, importante in un bilancio che pure supera ampiamente i 1.000 miliardi di euro, si è accesa la battaglia della futura contribuzione percentuale in rapporto al Pil degli Stati comunitari, da cui derivano concezioni della politica europea nettamente in contrasto tra loro.

Un quartetto di Paesi vuole portare all’estremo il dogma dell’austerità e dell’autarchia economica degli Stati nel contesto comunitario, rifiutando la proposta di Michel di una contribuzione all’1,07% del Pil, proponendo un abbassamento all’1%. Il premier austriaco Sebastian Kurz (conservatore), il collega olandese Mark Rutte (liberale), la danese Mette Frederiksen e lo svedese Stefan Lofven (socialdemocratici) formano un fronte trasversale favorevole a un’espansione del rigore sui conti pubblici che va addirittura oltre il tradizionale posizionamento della Germania di Angela Merkel. Governi europeisti a parole, ma rigoristi e tutt’altro che solidali nella pratica. I frugal four chiedono, come sottolinea Linkiesta, un bilancio più ristretto, focalizzato per il 25% nella lotta al cambiamento climatico e più rigoroso nel vincolare i finanziamenti ai Paesi al rispetto dei parametri fiscali.

Al fronte dei “frugali” si contrappongono i Paesi del Sud, Italia compresa, che chiedono un aumento della contribuzione pro-capite e sarebbero disposti a arrivare fino all’1,3% proposto dall’Europarlamento. L’Italia, dal canto suo, pur trovandosi nella posizione di contributore netto all’Unione potrebbe giocare una partita vincente per l’interesse nazionale contrastando il fronte dei Paesi rigoristi, non solo per le aspettative di un maggior introito nel caso di un bilancio più ampio ma anche per la possibilità di mettere all’angolo il fronte dei falchi del bilancio in una fase in cui la stessa Germania di Angela Merkel si trova nelle condizioni di non poter mettere più in maniera palese il cappello sulle loro mosse.

L’Europa si trova paralizzata: “Al momento ci dividono 230 miliardi”, ha sottolineato il presidente dellEuroparlamento David Sassoli, certificando l’ampiezza dello scostamento tra il bilancio desiderato da Strasburgo e quello che hanno in mente i falchi del rigore. “Dal confronto aspro che si sta delineando sul bilancio europeo pluriennale emergono tutte le debolezze in cui si è sempre più avvoltolata la tecnocrazia europea e gli Stati che ne decidono le sorti, ossia la Francia e la Germania, alleate sulla carta (Trattat di Aquisgrana docent) e separate, invece, dalla storia e dal rapporto con gli Usa nella praxis odierna”, commenta l’accademico Giulio Sapelli. Che identifica la causa della paralisi europea nella trasformazione dell’unificazione europea da un processo a guida politica a una a trazione economica di stampo liberista. Capace di enfatizzare gli elementi di competizione piuttosto che cooperazione, nel Vecchio Continente.

Dal dumping fiscale all’emersione di veri e propri “paradisi” per l’evasione, dalla sfida del mercantilismo tedesco alle volontà “napoleoniche” della Francia, dal ricatto sui migranti del blocco di Visegrad all’emersione del nuovo fronte dei rigoristi, l’Europa è un campo di battaglia politico. In cui la lotta con le risorse è schermaglia preparatoria al braccio di ferro politico. L’Europa dei decimali e delle regole sempre più slegate della realtà subisce un duro contrappasso andando in crisi per l’allocazione di pochi punti percentuali di bilancio, che fa venire al pettine tutte le contraddizioni interne al suo sistema. I governi più europeisti e fedeli al progetto comunitario a parole si dimostrano, in sostanza, i maggiori freni a un suo rafforzamento.

Fonte: InsideOver.com

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