Riforma della giustizia, lettera aperta alla Ministra Cartabia

Riforma della giustizia, lettera aperta alla Ministra Cartabia

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Di Giorgio Bongiovanni

In Parlamento ci sono 132 avvocati e 3 magistrati

Gentile Ministra Marta Cartabia,
così come avevamo fatto in occasione della pronuncia della Corte Costituzionale dello scorso 15 aprile sull’ergastolo ostativo, argomento che è attualmente in discussione in Commissione giustizia e che auspichiamo sia affrontato con le dovute attenzioni, torniamo a scriverle una lettera aperta con alcune considerazioni di merito su un tema che ci sta altrettanto a cuore: la riforma della giustizia.
Lei in questi mesi è intervenuta più volte sul punto. Anche se ha assunto l’irrituale abitudine di non rispondere mai a critiche di merito autorevoli, delle quali invece dovrebbe gelosamente tener conto, in quanto provengono da soggetti che, al pari di Lei, hanno a cuore il futuro della giustizia in Italia.
Tralasciamo le pesanti critiche che Lei ha ricevuto sulla questione dell’introduzione del meccanismo della improcedibilità, campo in cui – al grido ce lo chiede l’Europa – sta portando avanti una normativa che presenta aspetti di evidente incostituzionalità.
Una riforma bocciata dal Csm, dall’Anm e da innumerevoli addetti ai lavori, specie laddove propone che sia il Parlamento ad individuare le priorità dell’azione penale.
Non può essere l’Europa – e vorrà darcene atto – a guidare la Sua mano su contenuti, forme e tempi di una riforma che, fra gli addetti ai lavori in Italia, incontra tali resistenze. Né può esserle di sollievo il fatto che la grancassa mediatica (stragrande maggioranza di giornali e tv) ha scelto la linea del silenzio. Come se sull’argomento in Italia non stesse accadendo nulla, o tutti tacessero.
A tale proposito è sufficiente riferirsi alle dure proteste dei migliori magistrati di questo Paese che Lei si ostina a ignorare.
Lei procede imperterrita ed oggi propone una riforma del Csm altrettanto pericolosa e grave. Non è la questione del freno alle “porte girevoli”, tra politica e magistratura, di cui Lei tanto parla, a indignare.
C’è semmai qualcosa di cui Lei non si è accorta: quel senso distorto del rapporto magistratura-politica che, sull’onda di alcuni rari casi che ci sono stati, si vuole rappresentare mentre non una parola viene detta sul fronte degli avvocati.
Eppure anche loro costituiscono parte integrante del “sistema giustizia”.
Ma nessuno ne parla. Mai! Neanche Lei. Perchè?
Lei non ritiene che anche gli avvocati debbano essere inseriti in questo contesto di riforma della giustizia?
A tal proposito, ha letto quanto dichiarato dal magistrato Nino Di Matteo intervistato dal giornalista Saverio Lodato, nel loro libro “I nemici della Giustizia” (ed. Rizzoli)?

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Lei sa che in Parlamento si possono contare ben 132 avvocati a fronte di soli tre magistrati?
Lei sa che, come viene messo in evidenza nel libro, “nel Parlamento attuale, gli avvocati rappresentano numericamente il nucleo centrale dei componenti delle Commissioni giustizia del Senato e della Camera?”
Lo trova normale?
Lei sa che, come scrivono gli autori, “nella Commissione giustizia del Senato, gli avvocati, o ex avvocati, rappresentano il 71 per cento dei componenti. Nella Commissione giustizia della Camera, il 57 per cento”?
Non crede che sia ingiusto in un Paese democratico che il magistrato appena eletto dismetta la toga mentre l’avvocato continua a tenere aperto il suo studio?
Non crede che vi sia il rischio che gli avvocati, in virtù del proprio duplice ruolo, possano aggiustare le leggi in funzione molto spesso degli interessi processuali dei loro clienti?
Lei non vede alcuna forma di incompatibilità in quello che, come sottolineano gli autori, è “l’esercizio contemporaneo della funzione pubblica per eccellenza, la funzione di parlamentare, e quella privatistica di difensore di un singolo cittadino”?
Non crede che sia opportuno, così come si vuole per i magistrati, costringere anche gli avvocati eletti “a scegliere almeno tra la professione e la politica”?
Lei sa che in altri Paesi la musica è di tutt’altro tenore, e proprio in quegli stessi Paesi europei che – a suo dire – stanno esercitando un così pesante condizionamento della nostra riforma?
Lei sa che, come rappresentato nel libro di Di Matteo e Lodato, “in Spagna è prevista l’incompatibilità e chi da avvocato siede in Parlamento deve abbandonare la propria professione nel periodo in cui svolge la funzione politica; che “in Francia e negli Stati Uniti d’America gli avvocati deputati non possono difendere aziende o persone che hanno cause con lo Stato” o che “in Germania il codice di condotta del Bundestag obbliga i deputati a informare il presidente su ogni incarico defensionale con interessi che confliggono, potenzialmente, con lo Stato e la pubblica amministrazione, o che in Gran Bretagna vige una norma deontologica che vieta all’avvocato parlamentare di accettare un mandato professionale quando i cittadini siano ragionevolmente esposti al pensiero che egli potrebbe fare uso del suo stesso incarico per avvantaggiare il proprio cliente”?
Sono solo alcuni dei quesiti che Le poniamo.
E si potrebbe parlare di molto altro ancora.
Ad esempio della sua scelta di nominare il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia e già legale di fiducia del pregiudicato candidato al Quirinale Silvio Berlusconi, affinché si occupi delle valutazioni di professionalità dei magistrati e di altri aspetti che riguardano carriere e dunque promozioni negli uffici giudiziari.
Non abbiamo nulla contro la persona dell’onorevole Sisto. Ma è mai possibile che su 132 avvocati che Lei aveva a disposizione la scelta sia caduta proprio su di lui?
Inutile dire che non condividiamo.
E leggiamo questa sua azione come segnale che lancia a coloro che propongono un nuovo referendum sulla giustizia e che vorrebbero una partecipazione dei componenti laici ai lavori dei consigli giudiziari.

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Anche di questi gravi tentativi di ingerenza si parla nel libro che Lei sembra non conoscere.
“I promotori del referendum – ricordano Di Matteo e Lodato – intendono rendere questa partecipazione più incisiva, in tutto equiparabile a quella dei componenti togati dei consigli giudiziari. Vorrebbero estenderla a tutte le attività di tali organismi, inclusa quella di formulazione dei pareri sulla valutazione di professionalità dei magistrati, attualmente riservata soltanto ai componenti togati, cioè a magistrati eletti da altri magistrati del distretto”.
Dietro a questa manovra vi è il rischio per cui “l’avvocato, che la mattina ha difeso l’imputato di strage, di omicidio o di qualunque altro reato dal pubblico ministero che in aula rappresenta l’accusa, nel pomeriggio, in sede di consiglio giudiziario, dovrebbe contribuire a rendere il parere per la valutazione di professionalità del suo contraddittore, del pubblico ministero. L’avvocato, che il giorno dopo in un importante processo aspetta il verdetto della corte che dovrà giudicare se il suo assistito è colpevole o innocente, il pomeriggio precedente, facendo parte del consiglio giudiziario, avrà contribuito a formulare il parere di professionalità sul presidente di quella stessa corte”. E come sostengono i due autori “non si tratta di sfiducia preconcetta nei confronti dell’avvocato che fa parte del consiglio giudiziario. Ma sarebbero possibili, o sospettabili, ostilità o, al contrario, indebite compiacenze”.
Ciò non significa che i laici non possano “fornire un fattivo contributo di conoscenze per la redazione dei pareri”. Ma, come è ben evidenziato nel libro, “una cosa è permettere agli avvocati che fanno parte del consiglio giudiziario di fornire un contributo di conoscenze, e ben altra, assai pericolosa, è consentire loro di partecipare alla formulazione dei pareri”.
Insomma, Ministra Cartabia, ci sembra tanto che con questa sua riforma voglia strizzare più l’occhiolino agli avvocati e agli imputati eccellenti, più che ai magistrati, a chi cerca davvero giustizia e ai parenti delle vittime.
Una riforma che per certi versi sembra ricalcare quei desiderata messi nero su bianco nel piano di rinascita Democratica della famosa loggia P2, di Gelli.
Le ricordiamo che a “medio e lungo termine”, il Piano della P2 prevedeva innanzitutto la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici, poi una “riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa” e un “esperimento di elezione di magistrati fra avvocati con 25 anni di funzioni in possesso di particolari requisiti morali”. Poi una “modifica costituzionale” che prevedeva la “responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del pubblico ministero” e una “riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento”.
Il tutto con l’evidente l’obiettivo di ridurre l’autonomia della magistratura e la sua possibilità di realizzare il controllo di legalità sulla politica.
E’ tutto scritto nero su bianco. E la sua riforma ricalca – certamente in maniera inconsapevole – molti di quegli obiettivi che abbiamo appena elencato.
Forse abbiamo tutti compreso male. Ma se Lei, ancora una volta, sceglierà la sua proverbiale strada del silenzio non ci aiuterà a capire perché l’Europa pretende da noi proprio una simile riforma.

Tratto da: Antimafiaduemila

Cronaca Italia