La fibra ottica: un altro pezzo d’Italia svenduto agli stranieri

La fibra ottica: un altro pezzo d’Italia svenduto agli stranieri

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Tempo di lettura: 2 min

Di Paolo Maddalena*

La fibra ottica: un altro pezzo d’Italia svenduto agli stranieri. Per quanto riguarda l’economia Italiana, ieri è stato firmato un accordo fra la Tim e il governo, che prevede la costituzione di una società unica (AccessCo), formata da due gruppi di società: l’uno facente capo a Tim e comprendente, oltre a Tim (58%), gli statunitensi del fondo Kkr (37,5%) e Fastweb (4,5%); l’altro gruppo costituito da Openfiber a sua volta formato al 50% da Cassa depositi e prestiti e dall’altro 50% da Enel, la quale, uscirebbe da Operfiber cedendo parte delle sue quote a Cdp e l’altra parte al fondo australiano Macquire.

In sostanza Tim avrebbe il 50,1% delle azioni della nuova società (AccessCo), quindi la maggioranza, e il rimanente 49,9% si dovrebbe dividere fra Cdp, gli statunitensi di Kkr, Fastweb e gli australiani del fondo Macquire. Ed è da sottolineare che Tim è straniera al 65,5%, essendo costituita per il 51,68% da Investitori istituzionali esteri e per il 23,94% dai francesi di Vivendi, mentre Cassa depositi e prestiti detiene appena il 9,89% e gli Investitori istituzionali italiani sono al 2,16%.

In un momento in cui, a causa del corona virus, l’Italia si trova in gravi difficoltà economiche e ha preso in prestito 209 miliardi dall’Europa, il governo si permette di cedere agli stranieri quella che, al momento, è una fonte importantissima di produzione di ricchezza e di profitti, che, anziché andare al Popolo italiano, vanno a fameliche società straniere e a inesperti faccendieri privati.

Sottolineiamo al riguardo che la costruzione e la gestione della rete della fibra ottica è da ritenere un servizio pubblico essenziale, il quale, secondo l’articolo 43 della Costituzione, deve essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti, e che, così agendo, il governo ha fraudolentemente tolto agli italiani una fonte enorme di produzione di ricchezza a essi spettante, come “proprietà pubblica demaniale” (art. 42 Cost.), e cioè una proprietà inalienabile, inusucapibile e inespropriabile.

Si deve aggiungere che, menzogneramente e al solo fine di rendere l’operazione accettabile dall’immaginario collettivo, detto accordo prevede che la governance della nuova società sarà tenuta da Tim e da Cassa depositi e prestiti.

A questo punto è doveroso chiedersi quale forza potrà avere la Cassa depositi e prestiti con la sua esigua quota sociale, difronte al gruppo Tim, formato, come quasi esclusivamente da stranieri.

Insomma si tratta di un accordo capestro per gli interessi nazionali, che restano assolutamente indifesi di fronte alla cupidigia delle avide società private, Tim in prima fila, il cui fine è il perseguimento dei profitti dei propri soci e non l’interesse dell’intera comunità italiana.

È da aggiungere che la Cassa depositi e prestiti è anche essa una S.p.A., e come tale proiettata ad agire più come una banca privata, che procede anche ad investimenti rischiosi, piuttosto che un Ente pubblico tenuto a perseguire gli interessi della collettività.

È da ricordare, comunque, l’errore fondamentale della trasformazione di Cdp da Ente pubblico a S.p.A. risale al governo Berlusconi, costituisce cioè un passaggio importante per la costituzione del sistema economico predatorio neoliberista, realizzato con la legge 24 novembre 2003, numero 126 di conversione del decreto legge 30 settembre 2003, numero 269.

*Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”

Fonte foto: Caserta Web

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