Riforma del Csm e ordinamento giudiziario: allarme di Di Matteo e Ardita al Senato

Riforma del Csm e ordinamento giudiziario: allarme di Di Matteo e Ardita al Senato

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Il consigliere palermitano: “Le norme porteranno il magistrato più attento a numeri e statistiche che alla giustizia”

Ieri si è svolta il primo ciclo di audizioni in commissione Giustizia al Senato sulla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. In particolare sono stati sentiti dalla seconda sezione di Palazzo Madama il magistrato di Cassazione Alfredo Mantovano, i magistrati e componenti del Csm Antonino Di Matteo e Sebastiano Ardita, il procuratore della Repubblica di Avellino Domenico Airoma, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia.

Il nuovo assetto normativo è ‘inutile’ da una parte e ‘dannoso’ dall’altra come più volte aveva sottolineato il magistrato Di Matteo. Le criticità sollevate in merito alla nuova riforma marchiata Cartabia sono state molte: tra cui la separazione di fatto delle carriere, storica bandiera di Forza Italia, la gerarchizzazione esasperata all’interno degli uffici giudiziari, per poi passare alla istituzione delle ‘pagelle’ di valutazione dei singoli magistrati. Il testo, già approvato alla Camera, ora è al vaglio delle Commissioni in attesa di essere approvato dall’assemblea del Senato.

Il nuovo sistema elettorale rafforzerà le correnti
Il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, sentito ieri in commissione, ha diviso sostanzialmente il nuovo testo normativo in due parti distinte: una ‘inutile’ “a risolvere la patologia dell’improprio condizionamento correntizio dell’attività del CSM” e l’altra ‘pericolosa’ “per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e del singolo magistrato, soprattutto per quel che riguarda i magistrati del pubblico ministero“.

Per quanto riguarda il nuovo sistema elettorale del Csm, Di Matteo ha detto che non inciderà “significativamente rispetto al passato, ma anzi per certi versi potrebbe finire per rafforzare il potere dei gruppi associativi, soprattutto di maggioranza, rispetto agli altri gruppi e rispetto alle altre candidature cosiddette indipendenti”.

Secondo il magistrato palermitano, come aveva già detto in altre sedi, “l’unica soluzione” compatibile “con la costituzione, per scompaginare la patologia delle candidature” era “quella del sorteggio temperato“. “Ritengo – ha aggiunto – che il sistema elettivo dei togati disegnato in questa norma, rafforzerà il potere delle correnti” e che non sarà in grado di “rendere il consiglio superiore impermeabile alla politica”, data l’assenza, “per quanto riguarda i membri laici” di “qualsiasi previsione di incompatibilità diversa da quelle previste dall’articolo 104 della costituzione e dall’articolo 33, della legge istitutiva del Csm”.

Secondo Di Matteo, sarebbe opportuno introdurre delle condizioni di ineleggibilità quale componente del Csm, “per i membri del parlamento o per coloro i quali nei due anni precedenti abbiano ricoperto quell’incarico o un incarico ministeriale o un incarico governativo all’interno di enti locali”. Nel suo intervento il magistrato palermitano si è detto d’accordo sui limiti previsti per gli incarichi dei magistrati fuori luogo, cioè impiegati o assegnati ad altri incarichi, anche ministeriali. Ma, come già ribadito in altre sedi, ha detto che vi sono degli “evidenti profili di disparità di trattamento” poiché “si stabilisce sostanzialmente che gli unici magistrati che in nessuna condizione possono partecipare” o “candidarsi per una carica elettiva, sono quelli che fanno parte o hanno fatto parte nei due anni precedenti, del Consiglio Superiore della Magistratura”.

Tutti gli altri” magistrati, “anche quelli collocati fuori ruolo in altri ambiti, o quelli che hanno esercitato o esercitano, fino al momento della candidatura, funzioni giudiziarie possono alle condizioni previste dal primo comma, candidarsi”.

Le linee guida del Parlamento sull’azione penale
Dopo aver illustrato la parte della riforma che, sostanzialmente, non apporta significativi miglioramenti, il consigliere togato ha spiegato quelle norme contenute nel testo di riforma che rappresentano “dei potenziali pericoli per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”.

In primis il tema dei progetti organizzativi delle procure. In sintesi il procuratore della repubblica sarà tenuto a redigere dei progetti che seguano le indicazioni del Parlamento per quanto riguarda i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. E non solo: dovrà anche “trasmettere il progetto organizzativo al ministro della giustizia per le sue eventuali osservazioni, attribuendogli quindi una podestà su una materia, quella del progetto organizzativo” che si riferisce “proprio al cuore dell’esercizio della funzione giurisdizionale del requirente, incidendo in maniera profonda sulle modalità mediante le quali il procuratore svolge la funzione giurisdizionale requirente allo stesso assegnata in esclusiva titolarità”.

di matteo comgiustizia rradicale

L’intervento di Nino Di Matteo

La separazione delle carriere trasformerà il pm in un avvocato della polizia
Un pm servente all’esecutivo, un accusatore a tutti i costi, svincolato dal principio delle terzietà. È questo, purtroppo, l’orientamento che la figura del pubblico ministero potrebbe prendere dopo l’approvazione della riforma che di fatto sancisce la separazione delle carriere. “La tesi dell’appiattimento dei giudici nei confronti del pubblico ministero mi sembra assolutamente falsa, così come mi sembra strumentale e fuorviante, invocare la parità delle parti (tra giudice, avvocato e pm n.d.r). Quella parità è interna al processo – ha detto Di Matteo – ed è garantita dalle regole del dibattimento. Non può sussistere sul piano istituzionale, perché l’avvocato resta un privato cittadino professionista vincolato dal solo mandato di difendere il suo cliente” mentre “il PM condivide con il giudice l’obbligo di ricercare la verità dei fatti. Sostanzialmente vedo in questa norma il pericolo di trasformazione del PM in una sorta di avvocato della polizia. Un pericolo di graduale allontanamento dei procuratori dall’ottica della giurisdizione, nella inevitabile direzione della possibile dipendenza dall’esecutivo”.

“Dopo la riforma del 2006 – ha continuato – volevo far notare che la questione dei passaggi da una funzione all’altra, è diventata statisticamente irrilevante: negli ultimi anni soltanto il 1,7 percento dei pubblici ministeri ha chiesto di passare alla funzione giudicante” mentre solo lo “0,2 percento dei Giudici a quella requirente. Sono sempre convinto che lo svolgimento di entrambe le funzioni è un fattore di arricchimento della professionalità del magistrato – ha aggiunto – e quindi della qualità della giurisdizione”.

Inoltre, a differenza di quanti sostengono la separazione delle carriere, il magistrato ha ricordato che “già nel 2000 il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa” aveva auspicato “che tutti gli Stati prendessero provvedimenti concreti, al fine di consentire ad uno stesso magistrato di svolgere successivamente le funzioni di PM e quelle di giudice, o viceversa“.

Se si guarda alla storia professionale di Giovanni Falcone “si vede che è arricchita da quella dall’aver fatto più mestieri di giudice: civile, penale e pubblico ministero” ha aggiunto il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ribadendo che ci deve essere una “comunanza di culture della giurisdizione”.

Gli avvocati potranno valutare i magistrati
Le norme contenute nel testo di riforma porteranno due novità nel contesto giudiziario italiano: agli avvocati dei consigli giudiziari verrà dara la facoltà di “esprimere un voto sulla professionalità del magistrato” ha detto Nino Di Matteo. Quegli stessi avvocati che la mattina hanno “difeso il suo assistito in un processo di omicidio o strage, e il pomeriggio, al consiglio giudiziario” verrebbero chiamati “a rendere il parere per la valutazione di professionalità di chi ha rappresentato l’accusa in quel processo o di chi hai emesso la sentenza”.

Inoltre nel testo di riforma sarà istituito il “fascicolo per la valutazione del magistrato, contenente per ogni anno di attività i dati statistici e la documentazione necessaria per valutare l’attività, anche sotto il profilo della sussistenza di anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi dei gradi successivi del procedimento o del giudizio“.

“Si tratta di norme – ha detto Di Matteo – che analizzate contestualmente in un’ottica unitaria e sistemica porteranno, a mio avviso, ad una inevitabile effetto negativo: quello di burocratizzare ulteriormente la magistratura, di gerarchizzare ulteriormente gli uffici giudiziari, di rendere il singolo magistrato più attento ai numeri e alle statistiche, che a fare veramente giustizia“. I magistrati saranno “più timorosi nell’affrontare inchieste e processi che fisiologicamente non hanno, e non possono, avere un esito scontato”. I pubblici ministeri o i giudici non prenderanno “decisioni innovative rispetto alla giurisprudenza consolidata” ha detto il consigliere togato – e saranno più esposti a “possibili interferenze esterne, anche per eventualmente compiacere quegli avvocati che sono comunque chiamati a partecipare al giudizio di professionalità nei confronti del magistrato. Voglio precisare che non si tratta di sfiducia preconcetta, che sarebbe assolutamente immotivata nei confronti dell’avvocato che fa parte del consiglio giudiziario, ma della presa d’atto di possibili ostilità o al contrario di indebite compiacenze, eventualmente anche cercate dal magistrato”.

ardita comgiustizia rradicale

L’intervento di Sebastiano Ardita

Giustizia verticistica, burocratica e gerarchica 

Il modello di giustizia che viene presentato nella riforma è verticistico, gerarchico e burocratico, “perché comporta una uniformità nelle vicende giudiziarie” che è “nemica del modello garantista“. Così ha detto il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita ricordando che questo tipo di sistema si basa anche su “una certa dose di critica al modello orizzontale della magistratura” e rischia poi, di portare alla formazione di un modello “capovolto rispetto a quello che la nostra Costituzione” ci “dovrebbe imporre: cioè l’idea di una magistratura indipendente”.

Giovanni Falcone, ha ricordato il magistrato, “quando lo si voleva in qualche misura renderlo meno incisivo” e “meno presente in un certo settore”, come per le indagini su Cosa Nostra, “lo si riempiva di processetti”. Oggi con il modello di giustizia che si vuole adottare, cioè basato sui numeri e le statistiche, i processetti “diventerebbero il pane quotidiano di molti uffici”.

Secondo Ardita questo modello verticistico e gerarchico fa il “paio con il sistema elettorale che si è creato e che mantiene saldo un vertice” di “un sistema di governo della giustizia che si basa ancora una volta su poche persone: sulle correnti, sui gruppi che riescono ancora in qualche misura a sopravvivere, a mantenere e rafforzare con il sistema binominale la loro forza”. “Io ribadisco – ha detto il consigliere togato – l’idea che è stata avanzata anche dal consigliere Di Matteo, per il fatto che l’unico sistema, probabilmente il più efficace per poter arginare quella presenza invadente delle correnti, nel sistema” di “governo autonomo della magistratura, poteva essere senz’altro il sorteggio temperato, cioè una formula che togliesse spazio” alla “possibilità dei gruppi” di determinare l’esito delle “candidature dei soggetti che poi vengono a presentarsi”.

Ardita ha poi sottolineato il fatto che “delimitare a chi ha almeno 12 anni di servizio” la “possibilità di accedere al consiglio superiore” impedisce “ai giovani appena entrati (in magistratura n.d.r) di poter partecipare con il voto“, non permettendogli di “incentrare la loro forza nei confronti di qualcuno che si fa portatore o esponente della possibilità di cambiare le cose“.

“Così – ha concluso – viene tutto affidato a chi è già presente“: cioè “i leader dei gruppi associativi”.

Tratto da: Antimafiaduemila

 

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