Il Csm sbaglia ancora!

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Melillo alla superprocura antimafia. Di Matteo, Ardita e pochi altri con determinazione a favore di Gratteri

Di Giorgio Bongiovanni e Luca Grossi

Giovanni Melillo, 61 anni e attualmente capo della procura di Napoli, è la nuova guida della Direzione nazionale antimafia (Dna).
Lo ha deciso oggi il plenum del Csm a maggioranza (13 voti a favore). Gli altri candidati, Nicola Gratteri, attualmente procuratore della repubblica di Catanzaro, e Giovanni Russo, procuratore aggiunto della Dna, hanno ottenuto rispettivamente sette e cinque voti.
Melillo – iscritto alla corrente progressista di Area – prende quindi il posto di Federico Cafiero de Raho, in pensione dal febbraio scorso, nonostante avesse ottenuto una sola preferenza in Quinta Commissione.
Per il procuratore di Napoli hanno votato i cinque consiglieri di Area (la corrente di sinistra dell’Anm), i due professori indicati dal M5S Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati, seguiti da Michele Cerabona, avvocato napoletano e consigliere laico in quota Forza Italia. Al procuratore di Napoli sono andate anche le preferenze dei consiglieri di Unicost (la corrente di centro) e quelle dei due capi della Cassazione – il primo presidente Pietro Curzio e il Pg Giovanni Salvi. Per Gratteri, oltre ai consiglieri togati Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, hanno votato anche i due togati di Autonomia&Indipendenza Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, i laici in quota lega Stefano Cavanna ed Emanuele Basile e Fulvio Gigliotti, altro laico in quota M5S. A Russo sono andati i voti dei togati di Magistratura indipendente e quello di Alessio Lanzi, laico in quota Forza Italia.
Anche rispettando l’operato e le scelte del Consiglio, tale decisione, agli occhi dell’opinione pubblica, apparirà inevitabilmente come il frutto delle logiche correntizie. Logiche da cui il Consiglio superiore della magistratura non si è mai del tutto liberato – nonostante la presenza di consiglieri togati come Di Matteo e Ardita e altri membri laici del Csm – e che hanno portato nel passato a delegittimare i magistrati come Falcone e Borsellino. Secondo Ardita tale decisione non è motivo di stupore “se la mettessimo in quella che è la storia purtroppo del Csm“. Infatti il Consiglio è tradizionalmente, ha detto, un “organo abituato a deludere le aspirazioni di magistrati particolarmente esposti al contrasto della criminalità organizzata” come Gratteri, “finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento” e alla loro delegittimazione istituzionale, “il terreno più feritile”, ha continuato Di Matteo, “per omicidi eccellenti e stragi”.
Gratteri, ha continuato il magistrato palermitano, “è uno dei magistrati più esposti e a rischio per la propria vita”. “Si sono acquisite notizie circostanziate recenti e plurime di possibili attentati nei suoi confronti – ha ricordato – Evidentemente la criminalità organizzata ne percepisce l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto e immanente. In questa situazione temo che” la scelta di non nominarlo alla Dna “suonerebbe come una sorta di bocciatura dell’operato del dottore Gratteri. Non verrebbe compresa dall’opinione pubblica, ancora attenta e sensibile davvero alla lotta alla mafia. E agli occhi dei mafiosi, e nel più alto contesto criminale in cui si collocano“, risulterebbe come una ennesima, pericolosa e “foriera di ulteriori rischi”, presa di “distanza istituzionale” nei confronti di un “magistrato così esposto”.
Parole riprese anche da Sebastiano Ardita, il quale ha ribadito che Gratteri è, in questo momento, il magistrato “più esposto alla criminalità organizzata. Il più conosciuto, il più impegnato in indagini e processi” e che la decisione del Csm di oggi rappresenta “non solo una bocciatura del suo impegno antimafia” ma “un segnale devastante per tutto l’apparato istituzionale e del movimento sociale antimafia. Perché esiste una dimensione, nella quale noi con le scelte che facciamo, parliamo alle istituzioni e anche a quei movimenti culturali che seguono, grazie a Dio, ancora queste vicende e guardano con preoccupazione alle scelte del consiglio superiore”.

Il lavoro di Nicola Gratteri


Gratteri è un magistrato che ha lavorato alla Dda di Caltanissetta e ancora prima a quella di Palermo, affrontando anche il tema delle stragi e quello dei rapporti tra le varie mafie, il potere politico – imprenditoriale e istituzionale.
Di Matteo, ha ricordato che il procuratore di Catanzaro ha sviluppato “la sua esperienza in prima linea” – trentun’anni di esercizio – e che è riuscito ad acquisire credibilità sia “all’interno e all’esterno della magistratura” e nei confronti delle forze di polizia italiane ed estere. Inoltre il procuratore di Catanzaro è riconosciuto per la sua “indipendenza piena dal potere politico”, per la sua “estraneità alle patologie del purtroppo consolidate del sistema correntizio”, e per “la sua passione e per il coraggio che ha avuto anche nel suo rapportarsi al serio rischio della sua incolumità”.

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Tale rischio è derivato soprattutto dal suo lavoro di contrasto alla ‘Ndrangheta, incluso l’istruzione dell’inchiesta e poi processo ‘Rinascita Scott’ che, come ha detto poi il togato Giuseppe Marra, “vede indagate più di 400 persone, indagate e poi imputate. Questo processo è il più grande processo contro la criminalità organizzata dai tempi del maxi processo alla mafia degli anni 80, quello istruito da Falcone e Borsellino”, ha detto. Di Matteo ha ricordato anche il lavoro di Gratteri nel “distretto di Catanzaro”, in cui sta “affrontando una situazione che è assolutamente analoga a quella che nei primi anni ottanta ha affrontato il primo pool antimafia di Palermo. Ecco perché il processo ‘Rinascita Scott’ arriva a questi numeri così alti di ordinanze di custodia cautelare e di imputati. La situazione della Calabria – ha continuato – è da un punto di vista criminale paragonabile a quella della Sicilia dei primi anni ottanta.
E non è un dato che dobbiamo sottovalutare il fatto che il dottore Gratteri abbia maturato una esperienza specifica, proprio nel contrasto alla ‘Ndrangheta”.
Quella ‘Ndrangheta “che siamo abituati a descrivere – ha detto Ardita – come emergente e di particolare rilevanza a livello internazionale. Un fenomeno al quale diciamo tutti di volere prestare la doverosa attenzione”.

L’idea tradita della superprocura


La procura nazionale antimafia avrebbe dovuto rappresentare il cuore pulsante dell’attività di contrasto alla mafia.
Infatti dall’impianto normativo sulla quale è costruita, “traspare la visione alta di politica criminale di Giovanni Falcone ha detto Di Matteo. Ma la visione del legislatore del 1991 è stata “in parte tradita”. Poiché solo “in alcune fasi della sua trentennale esistenza la Dna è stata in grado di assicurare il servizio per il quale era stata concepita: la funzione di motore nevralgico della lotta alla mafia. In altri frangenti”, invece, “ha corso il rischio di trasformarsi in una sorta di ufficio di rappresentanza, al più chiamato a regolare potenziali conflitti tra procure diverse ma nella sostanza, anche per la rinuncia di fatto del suo potere di impulso, privo di quella autorevolezza interna ed esterna alla magistratura che lo dovrebbero caratterizzare”.
Oggi il Csm ha avuto l’opportunità di scegliere un candidato libero delle logiche correntizie e da qualsivoglia vicinanza con il potere politico, e in grado di ridare “ruolo e peso centrale alla procura nazionale antimafia” e di “proiettarla nella dimensione voluta dal legislatore nel ’91”, cioè quella di “cuore pulsante nell’attività di contrasto giudiziario alle mafie e al terrorismo con una dimensione nazionale e transnazionale”.
A conti fatti nel Consiglio, ad eccezione di alcuni membri togati e laici, rimane la stessa metodologia nefasta ed erronea che aveva portato nel passato persino a delegittimare magistrati come Falcone e Borsellino.
Nel gennaio 1988 il Csm preferì a Giovanni Falcone il giudice Antonino Meli, magistrato sessantottenne, ex presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, il quale era evidentemente molto meno esperto di Falcone in merito alle indagini sulla mafia. Meli venne eletto con 14 voti, quattro in più di quelli ottenuti da Falcone. Gli astenuti furono 5. In quel Csm vi era anche Gian Carlo Caselli che diversamente votò a favore di Giovanni Falcone. Oggi, nell’anno del trentennale delle stragi, la storia sembra ripetersi in maniera simile con Gratteri. Bocciato dal governo autonomo della magistratura nonostante le valutazioni tecniche di magistrati come Di Matteo e Ardita.

Foto © Imagoeconomica

Tratto da: Antimafiaduemila

Giustizia Italia