Nucleare: nel miele tracce dei test Usa condotti negli anni ’50

Nucleare: nel miele tracce dei test Usa condotti negli anni ’50

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La presenza di cesio-137, una sostanza radioattiva, è stata rilevata in alcuni campioni di miele degli Stati Uniti. A rivelarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, svolto dagli scienziati del College of William & Mary a Williamsburg, in Virginia, che hanno valutato la capacità odierna delle piante di assorbire sostanze radioattive. Le basse concentrazioni riscontrate, secondo gli analisti insufficienti per alimentare preoccupazioni sulla nocività dell’alimento, sarebbero l’effetto dei test e degli esperimenti nucleari sulla bomba atomica condotti negli anni ’50 e ’60. “E’ davvero incredibile – ha commentato Daniel Richter, scienziato del suolo presso la Duke University, non coinvolto nella ricerca – questo lavoro mostra che le conseguenze dei test nucleari sono ancora all’ordine del giorno“. Sulla scia della Seconda guerra mondiale, infatti, diversi paesi hanno condotto simulazioni ed esperimenti sulle esplosioni nucleari, facendo detonare bombe che hanno espulso il cesio-137, o radiocesio, nell’alta atmosfera.
I venti e le correnti hanno contribuito a diffondere la sostanza radioattiva in diverse zone del globo, prima che essa venisse dispersa nella bassa atmosfera e raggiungesse infine il suolo. Alcune aree sono state maggiormente soggette a queste ricadute, sottolineano gli autori. Così è emerso che il miele proveniente da Raleigh, nella Carolina del Nord, i livelli di cesio-137 erano 100 volte superiori rispetto al resto degli alimenti analizzati giunti da varie località statunitensi. Gli autori hanno pertanto raccolto 122 campioni di miele grezzo proveniente da tutti gli Stati Uniti orientali, rilevando la presenza del composto nel 55,7 per cento dei campioni considerati. La concentrazione era superiore a 0,03 becquerel per chilogrammo, paragonabili a 870 mila atomi per cucchiaio. In un campione della Florida è stata registrata la concentrazione massima, pari a 19,1 becquerel per chilogrammo. I livelli riscontrati, infatti, sono nettamente inferiori alla soglia di pericolo indicata dalla Food and Drug Administration statunitense, che ammonta a circa 1200 becquerel per chilogrammo. “Non c’è motivo di preoccupazione – ha ribadito James Kaste, scienziato del suolo presso il College of William & Mary – il radiocesio tende a decadere nel tempo, per cui ipotizziamo che in passato le concentrazioni di miele fossero molto più elevate“.

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La squadra di ricerca ha valutato anche la presenza di cesio-137 in campioni di latte e piante per scongiurare l’ipotesi che si fossero verificate contaminazioni, confrontando alimenti raccolti durante lo studio e altri prelevati da archivi storici. Gli scienziati hanno confermato una diminuzione drastica nelle concentrazioni della sostanza radioattiva dagli anni ’60.
I livelli di cesio nel miele erano probabilmente dieci volte più elevati negli anni ’70 – ha ipotizzato Kaste – quello che misuriamo oggi rappresenta solo un pallido residuo di quanto sarebbe emerso negli anni ’70“. “Questi risultati sollevano interrogativi su come il cesio abbia avuto un impatto sulle api nell’ultimo mezzo secolo – ha osservato Justin Richardson, biogeochimico presso l’Università del Massachusetts ad Amherst – sappiamo che gli insetti sono suscettibili ai pesticidi, ma ci sono anche altri elementi tossici meno considerati, che possono influenzare la loro sopravvivenza“. Dopo il disastro nucleare di Chernobyl nel 1986, gli scienziati hanno dimostrato che i livelli di radiazioni nelle vicinanze potrebbero ostacolare la riproduzione delle colonie di bombi e calabroni, ma si trattava di concentrazioni mille volte più elevate rispetto a quelle risultanti dal team di Kaste. “Sebbene questa ricerca non dovrebbe alimentare preoccupazioni sulla sicurezza del miele – ha concluso Thure Cerling, geologo presso l’Università dello Utah – lo studio evidenzia l’importanza di comprendere il movimento dei contaminanti nucleari. Questa attenzione è fondamentale per il monitoraggio della salute dei nostri ecosistemi agricoli“.

Fonte: AGI, antimafiaduemila

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