La disputa tra Russia ed Ucraina che, al momento, ha impedito la firma di un accordo che faciliti il transito del gas naturale di Mosca verso l’Europa rischia di causare gravi problemi ad uno Stato terzo: la Moldavia. Chisinau, infatti, non ha riserve di gas naturale ed è interamente dipendente, per il suo approvvigionamento, dai rifornimenti che giungono da Est attraverso il gasdotto che attraversa l’Ucraina. La controversia tra Mosca e Kiev, che dovrebbero siglare un’intesa per rinnovare quella attualmente in scadenza il primo gennaio del 2020, potrebbe lasciare la Moldavia, letteralmente, al gelo. L’inverno, infatti, incombe e la necessita di riscaldare gli edifici si farà sempre più pressante ed inoltre anche la produzione di energia elettrica, nella repubblica, è generata dal gas.
Una questione complessa
I problemi di Chisinau sono ulteriormente amplificati da una serie di altri fattori. Transgaz, la compagnia romena che si occupa della gestione della materia prima per Bucarest, avrebbe dovuto connettere attraverso la costruzione di un’infrastruttura la rete della Romania a quella della Moldavia e favorire così il transito di gas da Bucarest verso Chisinau. Il progetto è stato rimandato alla seconda metà del 2020 e non e nemmeno chiaro se allora si rivelerà efficace. La compagnia nazionale di gas moldava Moldovagaz, inoltre, è controllata in maggioranza dalla russa Gazprom e questo fattore limita le capacità del Paese di cercare forniture alternative, magari trattando direttamente con Kiev.
Le dinamiche politiche dello spazio post sovietico vanno così ad influenzare quelle energetiche: il governo di grande coalizione di Chisinau, presieduto dall’europeista Maia Sandu e formato dal Partito Socialista filorusso e da movimenti europeisti liberali e populisti, rischia di implodere per la difficile convivenza di forze politiche così diverse. L’esecutivo è stato formato in seguito alle consultazioni legislative del febbraio 2019, elezioni che si erano concluse con un risultato incerto. Il Partito Socialista era giunto primo con il 31 per cento dei voti, al secondo posto si era piazzato l’ alleanza europeista Acum di Maia Sandu ed Andrei Nastase con il 26 per cento dei consensi ed al terzo posto il Partito Democratico, che aveva goduto del 24 per cento dei suffragi, controllato dall’enigmatico oligarca Vladimir Plahotniuc. Una vera e propria crisi costituzionale aveva infine portato alla formazione di un governo di grande coalizione che è succeduto al precedente esecutivo liberale ed europeista, travolto da gravi scandali. Il futuro politico del Paese continua ad essere diviso tra Mosca e Bruxelles e non è ancora chiaro quale delle due vie sarà intrapresa da Chisinau o se prevarrà un atteggiamento di neutralità.
La situazione economica
La Moldavia è il Paese più povero d’Europa ed il reddito mensile medio netto supera di poco i 250 euro. Le possibilità di sviluppo sono limitate dalla pervasività della corruzione, da un sistema politico debole ed influenzato dal fenomeno del clientelismo e dalla dipendenza dalle rimesse inviate da parte dei tanti cittadini moldavi espatriati per cercare di sfuggire alla miseria che attanaglia il Paese. Il conflitto non risolto con la regione separatista russofona della Transnistria, de facto indipendente da decenni, non contribuisce a generare ulteriore stabilità. Nonostante questi problemi il Prodotto Interno Lordo continua a crescere ( +3,8 per cento nel 2018 e +3,5 per cento nel 2019) mentre l’inflazione è ferma a poco meno del cinque per cento. La risoluzione o l’attenuazione dei problemi moldavi passa però in primis dalla risoluzione della controversia con la Transnistria, dalla costruzione di un sistema politico più stabile, dalla lotta alla corruzione e da una collocazione internazionale che non venga influenzata dalle dinamiche del momento. La conseguenze sulla disputa del gas tra Kiev e Mosca potrebbero così contribuire a destabilizzare un tessuto politico e sociale già fragile.
Fonte:InsideOver
Che l’Unione Europea si occupi anche di questa importante questione, se non altro perlomeno offrendosi come mediatore tra l’Ucraina e la Russia.
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