La Corte Suprema Usa: «Nessuno può essere licenziato perché gay o trans»

La Corte Suprema Usa: «Nessuno può essere licenziato perché gay o trans»

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Storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, oggi lunedì 15 giugno 2020: gay, lesbiche, bisex e transgender non possono essere discriminati per il loro orientamento sessuale sul posto di lavoro. E’ un passo che estende l’interpretazione del Civil Rights Act, la legge cardine sui diritti civili, approvata dal Congresso e firmata dal presidente Lyndon Johnson il 2 luglio del 1964. In particolare il titolo VII («Equal empolyment opportunity definitions») proibisce ogni forma di discriminazione in tema di occupazione e mansioni lavorative «sulla base della etnia, della religione, della nazionalità e del genere sessuale».

Strappo con Trump

La decisione del massimo organo giurisdizionale non era scontata. I conservatori, nominatati da presidenti repubblicani, sono in maggioranza: cinque contro i quattro giudici indicati da democratici. Due togati hanno ribaltato gli equilibri: il presidente della Corte John Roberts jt (che abbiamo visto all’opera anche durante l’impeachment al Senato) e Neil Gorsuch, nominato da Donald Trump. I due non hanno accolto la posizione rappresentata nelle udienze dall’amministrazione Trump, in quanto datore di lavoro federale. Gli avvocati della Casa Bianca hanno sostenuto che la legge garantisse la parità tra uomini e donne, ma non tutelasse, in questo caso, i diritti della comunità Lgbt (lesbian, gay, bisexual e transgender). Sarebbe stato necessario, dunque, modificare la norma in Congresso, non ampliarla con una sentenza. La maggioranza dei giudici, invece, ha accolto la tesi opposta: il riferimento al sesso non può che comprendere anche «l’orientamento sessuale». Così ha scritto il presidente Roberts, raccogliendo il consenso di Gorsuch e poi dei quattro progressisti, Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan. Sono rimasti fermi sul no gli altri tre togati: Clarence Thomas, Samuel Alito, e il controverso Brett Kavanaugh, ultima nomina di Trump.

Sentenza su tre casi

La Corte ha esaminato tre casi. Due riguardano discriminazioni subite da omosessuali. Gerald Bostock licenziato dalla Contea di Clayton, in Georgia, perché si era iscritto nel campionato gay di softball. Anche Donald Zarda, istruttore di «sky diving», una forma di paracadutismo, perse il posto quando disse a una cliente che non voleva scendere in coppia con lui di «non preoccuparsi, sono gay al 100%». Zarda è morto in un incidente nel 2014, ma i suoi colleghi hanno portato avanti la causa. L’ultimo dossier riguarda una transgender, Aimee Stephens. Per sei anni aveva lavorato in un’impresa di pompe funebri. Il titolare la mandò via, quando Aimee disse che si sarebbe presentata in azienda vestita da donna. Anche Stephens non ha potuto gioire per la sentenza: è morta poche settimane fa, il 12 maggio.

Le battaglie per i diritti

Sul piano politico-sociale il dispositivo di oggi rilancia la stagione delle battaglie per i diritti civili. Il «Civil Rights Act» fu il risultato delle proteste afroamericane, guidate da Martin Luther King. Il lungo testo della normativa riflette lo sforzo di chiudere l’epoca della segregazione dei «black people» ovunque, dalla scuola ai mezzi di trasporto; dagli ospedali al posto di lavoro, appunto. Qui si è concentrata l’attenzione dei legislatori. Le altre fattispecie, come il genere sessuale, furono disciplinate in modo più generico. Ora, quasi sessant’anni dopo, la Corte Suprema ha completato quel disegno.

Tratto da: Il Corriere della Sera

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