Giustizia Vaticana. Nella riforma voluta dal Papa pene più severe per pedofilia e reati economici

Giustizia Vaticana. Nella riforma voluta dal Papa pene più severe per pedofilia e reati economici

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Mon. Iannone: “Tali delitti vengono ora estesi dal Codice anche ai membri del clero”

Il Codice di diritto Canonico cambia: ora la pedofilia e gli abusi sessuali (quali anche lo stupro e la pedopornografia) non saranno considerati solo come reati contro “le obbligazioni dei consacrati” ma contro “la vita, la dignità e la libertà della persona” portando così a pene più dure in caso di condanna. 
Lo ha stabilito Papa Francesco con la costituzione apostolica Pascite gregem Dei (Pascete il gregge di Dio) con la quale ha emanato il nuovo Libro VI del Codice di diritto canonico, contenente la normativa sulle sanzioni penali nella Chiesa.
Infatti Filippo Iannone, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha sottolineato, durante la presentazione delle novità introdotte nel libro VI del Codice che: “Negli ultimi anni, come è stato evidenziato da più parti durante il lavoro di revisione dell’apparato normativo, il rapporto di compenetrazione tra giustizia e misericordia, ha subito, talvolta, un’erronea interpretazione, che ha alimentato un clima di eccessiva rilassatezza nell’applicazione della legge penale, in nome di una infondata contrapposizione tra pastorale e diritto, e diritto penale in particolare. La presenza all’interno delle comunità di alcune situazioni irregolari, ma soprattutto i recenti scandali, emersi dagli sconcertanti e gravissimi episodi di pedofilia, hanno, però, fatto maturare l’esigenza di rinvigorire il diritto penale canonico, integrandolo con puntuali riforme legislative; si è avvertita l’esigenza di riscoprire il diritto penale, di utilizzarlo con maggior frequenza, di migliorarne le possibilità di concreta applicazione, per meglio definire un quadro sistematico e aggiornato della realtà in continua evoluzione. C’è da aggiungere che tali delitti vengono ora estesi dal Codice anche ai membri di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica e ai fedeli laici che godono di una dignità o svolgono un ufficio o una funzione nella Chiesa. Le norme penali, in genere considerate norme odiose, configurano e sanzionano azioni poste in essere in violazione di leggi che sono a tutela di diritti e di beni e quindi a danno di singoli fedeli e della comunità. Azioni che, sono convinto, si possa dire sono compiute da una esigua minoranza di membri della Chiesa. La giustizia esige in questi casi che l’ordine violato venga ristabilito – ha detto Iannone – che la vittima eventualmente venga risarcita, che chi ha sbagliato sia punito, espii la colpa. Il Papa, però, a conclusione della Costituzione ci ricorda che anche le norme penali, come tutte le norme canoniche, devono sempre essere riportate alla norma suprema che vige nella Chiesa, la salus animarum. Per questo promulga il testo ‘nella speranza che esso risulti strumento per il bene delle anime”.
Oltre che alle nuove norme sulla pedofilia, gli abusi e la pedopornografia, seguono anche quelle nei confronti della vita e della persona umana, ossia per l’aborto, “Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae” – si legge nel testo – “nei casi più gravi il chierico reo sia dimesso dallo stato clericale”.

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Pena simili anche per chi “commette un delitto contro il sesto comandamento del Decalogo con un minore o con persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o con quella alla quale il diritto riconosce pari tutela”, lo stesso per chi “recluta o induce un minore, o una persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o una alla quale il diritto riconosce pari tutela, a mostrarsi pornograficamente o a partecipare ad esibizioni pornografiche reali o simulate”. Il terzo caso riguardo colui che “immoralmente acquista, conserva, esibisce o divulga, in qualsiasi modo e con qualunque strumento, immagini pornografiche di minori o di persone che abitualmente hanno un uso imperfetto della ragione”.
Viene introdotto anche il reato di omissione di denuncia come conseguenza logica della nuova linea del Codice Canonico che entrerà in vigore l’8 dicembre.
“Chi, oltre ai casi già previsti dal diritto, abusa della potestà ecclesiastica, dell’ufficio o dell’incarico sia punito a seconda della gravità dell’atto o dell’omissione, non escluso con la privazione dell’ufficio o dell’incarico, fermo restando l’obbligo di riparare il danno”, sancisce il nuovo testo.
Il testo riformato comprende anche i reati di carattere economico e finanziario in generale.
Infatti il Codice recita: colui che “sottrae beni ecclesiastici o impedisce che ne siano percepiti i frutti” oppure chi “senza la prescritta consultazione, consenso o licenza, oppure senza un altro requisito imposto dal diritto per la validità o per la liceità, aliena beni ecclesiastici o esegue su di essi un atto di amministrazione” sia punito con la privazione “di tutta la remunerazione ecclesiastica o di parte di essa”.
Pene severe anche per chi procede alle ordinazioni sacerdotali e vescovili fuori dalle regole, in particolare, “sia colui che ha attentato il conferimento del sacro ordine ad una donna, sia la donna che ha attentato la recezione del sacro ordine, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; inoltre il chierico può essere punito con la dimissione dallo stato clericale”.
Lo stesso Papa Francesco ha spiegato, durante la presentazione che: “In passato ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso, ove le circostanze e la giustizia lo richiedano, alla disciplina sanzionatoria. Tale modo di pensare, l’esperienza lo insegna, rischia di portare a vivere con comportamenti contrari alla disciplina dei costumi, al cui rimedio non sono sufficienti le sole esortazioni o i suggerimenti. Questa situazione spesso porta con sé il pericolo che con il trascorrere del tempo, siffatti comportamenti si consolidino al punto tale da renderne più difficile la correzione e creando in molti casi scandalo e confusione tra i fedeli. È per questo che l’applicazione delle pene diventa necessaria da parte dei pastori e dei superiori. La negligenza di un pastore nel ricorrere al sistema penale rende manifesto che egli non adempie rettamente e fedelmente la sua funzione”. E ha aggiunto: “La carità richiede che i pastori ricorrano al sistema penale tutte le volte che occorra, tenendo presenti i tre fini che lo rendono necessario nella comunità ecclesiale, e cioè il ripristino delle esigenze della giustizia, l’emendamento del reo e la riparazione degli scandali”. E inoltre, il Pontefice ha scritto che: “Per rispondere adeguatamente alle esigenze della Chiesa in tutto il mondo appariva evidente la necessità di sottoporre a revisione anche la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, nel Codice di Diritto Canonico, e che occorreva modificarla in modo da permettere ai Pastori di utilizzarla come più agile strumento salvifico e correttivo, da impiegare tempestivamente e con carità pastorale ad evitare più gravi mali e lenire le ferite provocate dall’umana debolezza”.
Il segretario del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru ha spiegato che le modifiche apportate dal Papa nel nuovo Libro VI del Codice rispondono fondamentalmente a tre criteri direttivi: “Il testo contiene adesso una adeguata determinatezza delle norme penali che prima non c’era, al fine di conferire un’indicazione precisa e sicura a chi le deve applicare. Per far sì che ci sia anche un impiego uniforme della norma penale in tutta la Chiesa, le nuove norme hanno ridotto l’ambito di discrezionalità lasciato prima all’autorità, senza eliminare del tutto la necessaria discrezionalità richiesta da alcuni tipi di reato particolarmente ampi che esigono volta per volta il discernimento del Pastore. Inoltre – ha aggiunto Arrieta – i reati sono ora specificati meglio, distinguendo fattispecie che prima invece erano piuttosto accorpate; le sanzioni sono adesso tassativamente elencate dal (can. 1336); e il testo riporta ovunque parametri di riferimento per guidare le valutazioni di chi deve giudicare le circostanze concrete. Il secondo criterio che ha presieduto la riforma è la protezione della comunità e l’attenzione per la riparazione dello scandalo e per il risarcimento del danno.

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Il nuovo testo cerca di far rientrare lo strumento sanzionatorio penale nella forma ordinaria di governo pastorale delle comunità, evitando le formule elusive e dissuasorie che prima esistevano. In concreto, i nuovi testi invitano a imporre un precetto penale, o a avviare la procedura sanzionatoria (can. 1341), sempre che l’autorità lo ritenga prudentemente necessario o qualora abbia constatato che per altre vie non è possibile ottenere sufficientemente il ristabilimento della giustizia, l’emendamento del reo, e la riparazione dello scandalo (can. 1341)”. E poi ancora, “è questa una esigenza della caritas pastoralis, che trova poi riscontro in diversi elementi nuovi del sistema penale e, in particolare, nella necessità di riparare lo scandalo e il danno causato, per condonare una pena o per rinviare la sua applicazione. In termini generali il can. 1361 esordisce dicendo che “non si deve dare la remissione – di una pena – finché, secondo il prudente giudizio dell’Ordinario, il reo non abbia riparato il danno eventualmente causato. Il terzo obiettivo che si è cercato di raggiungere – ha aggiunto il Segretario – è quello di fornire al Pastore i mezzi necessari per poter prevenire i reati, e poter intervenire per tempo nella correzione di situazioni che potrebbero diventare più gravi, senza rinunciare però alle cautele necessarie per la protezione del presunto reo, a garanzia di quanto adesso afferma il can. 1321: ‘chiunque è ritenuto innocente finché non sia provato il contrario'”.

Tratto da: Antimafiaduemila

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Cronaca Giustizia