Nino Di Matteo: ”Costituzione violata dalla legge Cartabia”

Nino Di Matteo: ”Costituzione violata dalla legge Cartabia”

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Di Giorgio Bongiovanni

In uscita “I nemici della giustizia”, il libro scritto assieme a Saverio Lodato. Il magistrato ne parla al Fatto Quotidiano

“I nemici della giustizia” (edito da Rizzoli) è il nuovo libro del consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo, scritto con il giornalista, scrittore e nostro editorialista, Saverio Lodato, in uscita il 2 novembre in tutte le librerie.
Una pubblicazione in cui vengono messi in fila una serie di fatti che minano alla base il concetto di una “giustizia uguale per tutti”, partendo dall’analisi chiara dei rapporti tra Magistratura e poteri forti. Quindi viene proposta anche una possibile risoluzione affinché veramente, dopo gli scandali e le delusioni, i cittadini tornino davvero ad avere fiducia nelle istituzioni.
Per parlare del libro Di Matteo è stato intervistato oggi da Marco Lillo, vicedirettore de Il Fatto Quotidiano. E sin dal principio ha subito indicato quelli che sono i “nemici della giustizia” e che non sono “solo mafiosi, corrotti e criminali”.
“Si annidano nelle pieghe delle istituzioni e della politica e anche della magistratura – ha risposto il magistrato – Non possiamo far finta che questo momento non sia uno dei più bui della storia della magistratura. I mali diffusi come metastasi nel corpo della giustizia sono il correntismo, la corsa sfrenata alla carriera, la gerarchizzazione degli uffici di procura e il collateralismo con la politica”.
Di Matteo ha dunque spiegato il motivo per cui, alla luce di un momento tanto delicato e di crisi all’interno della magistratura, abbia scelto di scrivere il libro con Saverio Lodato: “Non possiamo far finta di stupirci. Dobbiamo indignarci e non nascondere la verità. Sono tanti quelli che vogliono approfittare di questo momento difficile per regolare i conti con i magistrati che hanno saputo esercitare il controllo di legalità anche sul potere finanziario e politico. C’è una logica di rappresaglia ma anche di prevenzione per il futuro. Vogliono vendicarsi ed evitare che la magistratura possa essere troppo incisiva. Ecco perché ho ritenuto di far sentire la mia voce. Non mi piace questo andazzo. La magistratura sembra rassegnata a subire l’attacco frontale di chi vuole trasformare le procure in organi collaterali e serventi rispetto al potere esecutivo”.

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Così come ha fatto più volte, dentro e fuori del Csm, Di Matteo non ha risparmiato critiche alla riforma della giustizia fortemente voluta dal ministro della Giustizia Marta Cartabia. Tanto che nel libro vi è un intero capitolo.
“La ritengo una delle peggiori riforme degli ultimi 30 anni – ha detto con fermezza – L’Europa chiedeva di accelerare i processi ma se fosse stata in vigore la riforma Cartabia, processi importanti come quello per il crack Parmalat, la strage di Viareggio o per le violenze nella scuola Diaz di Genova nel 2001, si sarebbero conclusi nel nulla. Questa normativa presenta per me aspetti di evidente incostituzionalità. Va nella stessa direzione del processo breve voluto dal premier Berlusconi e dal ministro Alfano nel 2009. Allora però ci fu una forte reazione. Gli organismi rappresentativi della magistratura, i movimenti e partiti che allora insorsero oggi sono silenti o addirittura favorevoli alla riforma Cartabia”.
Tra i punti nodali, ovviamente, anche le indicazioni che il Parlamento potrà dare ai Procuratori capo, sulle “priorità” dei reati da perseguire. Un punto che secondo Di Matteo è ancora più allarmante dell’improcedibilità: “Le maggioranze parlamentari del momento dovranno individuare le priorità dell’azione penale. La maggioranza di turno potrà ad esempio in futuro stabilire che bisogna perseguire prima la criminalità da strada e poi, solo se resta tempo, i reati di corruzione o tipici dell’abuso di autorità. Così si mina l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia e indipendenza della magistratura. Non è solo un problema della casta della magistratura. Intravedo un grave pericolo per i cittadini e le minoranze che si oppongono alla maggioranza di turno”.
Ma nel libro Di Matteo interviene anche sulla proposta di referendum sulla Giustizia, promossa da Lega e Partito radicale, che nei giorni scorsi ha ricevuto l’accoglimento della Cassazione dopo la richiesta dei consigli regionali di Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto.
Una decisione che anticipa – e di fatto rende ininfluente – il deposito delle firme certificate che il Carroccio e il Partito radicale hanno raccolto nei mesi scorsi.

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Un referendum che, nello specifico, riguarderà la riforma del Csm, la responsabilità diretta dei magistrati, l’equa valutazione dei magistrati, la separazione delle carriere, i limiti agli abusi della custodia cautelare e l’abolizione del decreto Severino.
E Di Matteo spiega i motivi per cui non condivide la nuova proposta.
“Premetto che la Costituzione prevede lo strumento referendario anche per cambiare le norme della giustizia – ha affermato rispondendo a Lillo – Nulla da dire quindi sul metodo. Nel merito invece sono contrario a cinque dei sei quesiti. Il sesto, quello sulle firme necessarie per presentare le candidature al CSM, per me è inutile perché non serve a evitare lo strapotere delle correnti”.
Tra i punti più critici, che puntualmente vengono proposti dalla politica ad ogni abbozzo di riforma, quello della separazione delle carriere tra giudici e magistrati.
Un’idea a cui Di Matteo è assolutamente contrario: “Il primo piano in tal senso era quello di Rinascita Democratica di gelliana memoria. Poi è diventata una bandiera di Forza Italia e del centrodestra nella seconda repubblica. L’appiattimento dei giudici sui pm è un falso storico. Basta vedere le statistiche: i giudici disattendono spesso le richieste dei pm. Inoltre sul passaggio da una funzione all’altra i paletti sono già alti. Negli ultimi 15 anni poco più del 2 per cento dei pm è diventato poi giudice e meno dello 0,5 dei giudici ha compiuto il passaggio inverso. La separazione delle carriere porterebbe, se non immediatamente in maniera inevitabile, alla sottoposizione del pm all’esecutivo e comunque consacrerebbe una figura del pm estranea alla cultura della giurisdizione”.
Altro elemento critico è la “riforma della responsabilità civile” dei magistrati. Ed anche in questo caso, secondo il consigliere togato, ci sono criticità.
In primo luogo perché “esiste già la responsabilità penale con decine di magistrati sotto processo. Poi c’è la responsabilità disciplinare che viene fatta valere più frequentemente per noi magistrati che per altre categorie. Anche la responsabilità civile già c’è. Anche se solo per dolo e colpa grave. La normativa attuale prevede l’azione del cittadino che si ritiene leso contro il Governo per chiedere i danni. In caso di accertamento del dolo o della colpa grave, è il Governo a potersi rivalere sul magistrato”.
“Con il sì al referendum – ha aggiunto Di Matteo – si consentirebbe al cittadino l’azione diretta contro il magistrato. Vedo alcuni rischi: innanzitutto si determinerebbe un’incompatibilità in capo al magistrato chiamato in causa. Inoltre i magistrati che devono giudicare una controversia, civile o penale, potrebbero essere indotti a favorire la parte più forte, che ha i mezzi per rivalersi sul magistrato. Tra una multinazionale e un lavoratore il giudice sarà sereno nel giudizio?”.

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Tanto nel libro, quanto nell’intervista odierna, non poteva mancare un accenno al processo sulla trattativa Stato-mafia che in primo grado ha visto le condanne dei soggetti istituzionali ed in secondo l’assoluzione per i vari Mori, Subranni, De Donno e Dell’Utri e la condanna dei “soliti mafiosi” (Bagarella e Cinà).
Di Matteo non è sfuggito alla domanda di Lillo, anche se per una risposta completa “bisognerà attendere le motivazioni”. Al contempo, secondo il magistrato, ci sono alcune considerazioni che possono essere fatte: “Intanto non siamo stati solo noi pm a valutare certe condotte. Il giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto giuridicamente corretta l’impostazione accusatoria. E poi la Corte di Assise – dopo 5 anni di processo e centinaia di udienze – ha scritto 5.500 pagine per motivare la condanna. Non voglio scendere nel merito delle responsabilità penali degli imputati. Però una cosa voglio dirla: sono a posto con la coscienza e sono orgoglioso di aver contribuito con i miei colleghi, pm e giudici, a far emergere fatti oggi incontestabili che solo la nostra tenacia ha fatto riemergere da archivi nascosti e polverosi. L’opinione pubblica aveva il diritto e forse anche il dovere di sapere che nel periodo delle stragi Cosa Nostra ha agito nell’ottica di un dialogo a suon di bombe con lo Stato”. Quindi ha concluso: “Nessuna sentenza potrà mai cancellare i fatti storici emersi in quel processo”.
Non resta che attendere, dunque. Da domani “I nemici della giustizia – Saverio Lodato intervista Nino Di Matteo” sarà in tutte le librerie. Un libro che, ci auguriamo, possa ispirare le nuove generazioni e, soprattutto, i giovani magistrati.

Tratto da: Antimafiaduemila

 

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