Strage piazza Fontana, dagli archivi di Stato la ”longa manus” della CIA

Strage piazza Fontana, dagli archivi di Stato la ”longa manus” della CIA

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Le audizioni desecretate dell’ex ministro Taviani: “Agenti CIA immischiati nella preparazione degli eventi di piazza Fontana e successivi

Ci sarebbe la “longa manus” della CIA dietro la strage di Piazza Fontana, l’eccidio che inaugurò la cosiddetta “strategia della tensione”. Da decenni storici, giornalisti, avvocati e magistrati sostengono che a manovrare il piano di destabilizzazione dell’Italia avviato con la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano siano stati loschi soggetti sovranazionali. Oggi nuove ed inedite prove vanno a sostegno di quell’ipotesi. A riportarle al grande pubblico è il giornalista del Corriere della Sera Maurizio Caprara trovandole tra i faldoni dell’Archivio storico del Senato dopo che le attuali presidenze delle Camere hanno disposto la desecretazione di alcuni atti.
Tra quelle carte il giornalista si è imbattuto nelle dichiarazioni del senatore Paolo Emilio Taviani, rilasciate il 1° luglio 1997 in una fase segreta dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. “Che agenti della Cia si siano immischiati nella preparazione degli eventi di piazza Fontana e successivi” affermò Taviani, non solo “è possibile” ma è “ormai certo“. “Erano di principio antiaperturisti e anti-centrosinistra“. E ancora. “Che agenti della Cia fossero fornitori di materiali e fra i depistatori sembra pure certo”.
Dichiarazioni scottanti che assumono grande spessore date le plurime cariche di primo livello ricoperte da Taviani durante gli “anni di piombo” (fue due volte ministro degli Interni). Ma il senatore non si limitò qua. Durante quelle tre ore di seduta in Commissione fece cenno anche all’eventuale coinvolgimento nell’attentato di “un colonnello dell’Arma dei carabinieri” o di un “ipotetico ufficiale del Sid”. Taviani aveva titolo, con un indagine riservata, per aiutare a chiarire perché su piazza Fontana risultò così difficile individuare le responsabilità dei fascisti, riconosciute solo dieci anni dopo l’eccidio dalla prima sentenza del processo di Catanzaro (negate in un appello reso definitivo e riemerse nel 2005 in Cassazione sulla base di un processo milanese). Ecco perché nell’audizione del lontano 1997 avanzò l’ipotesi che anche i depistaggi, così come l’organizzazione dell’attentato, in base ai quali quella strage sarebbe stata a lungo attribuita agli anarchici e a Pietro Valpreda, fossero stati organizzati prima, non dopo lo scoppio della bomba che provocò, ricordiamo, 17 morti e 98 feriti. Inoltre Taviani sostenne, come altri, che quell’esplosione uccise persone per effetto di un errore in quanto chi piazzò la carica credeva che quel pomeriggio la banca dovesse restare chiusa.
“Il problema è se il cappello di Valpreda ed altre cose erano state predisposte da qualcuno o se invece erano puramente casuali, quindi non un depistaggio posteriore, ma addirittura un depistaggio anteriore all’operazione”, precisò il senatore riferendosi a particolari delle indagini. Taviani escluse che qualche uomo di Stato avesse partecipato all’attentato se avesse compreso che la banca sarebbe stata aperta: “Se si ignora questo tassello è impossibile attribuirne la responsabilità e la colpevolezza (che in ogni caso [segue una parola incomprensibile annotata a mano, ndr]) a personaggi seri”. Le annotazioni a penna, scrive il giornalista del Corriere della Sera che ha consultato le carte non più coperte da omissis, sono del senatore e successive alla stesura del resoconto. Taviani cancellò sei parole dopo “personaggi seri”: “… Come io ritengo siano i responsabili”. Continuava l’ex ministro: “Non è infatti possibile pensare che un colonnello dell’Arma dei carabinieri, persona seria e intelligente, pensi di ammazzare tredici italiani. Evidentemente la bomba doveva scoppiare come le bombe di Roma”.
Durante la seduta il senatore parlò anche del sentimento eversivo che aleggiava in Italia in quegli anni da parte di alcune organizzazioni. “C’era anche il pericolo, ed era forte, delle Brigate rosse, delle quali io stesso ero oggetto di attentati. Tuttavia, il pericolo di una dittatura e di una involuzione autoritaria era solo quello di destra“. Più precisamente: “Io non ho mai detto che quello sia stato l’unico pericolo di eversione. Ma l’unico pericolo di poter arrivare a una scelta dittatoriale. Cioè l’unico pericolo di arrivare ad un golpe“. Secondo Taviani “se si fosse detto subito, come era mia intenzione, che la strage di Milano era di destra“, si sarebbe lasciato meno spazio a capacità del terrorismo rosso di attrarre nuove leve. “Se si fosse detto che quella strage era di destra – aggiunse inoltre – probabilmente non si arrivava né alle stragi dei treni, ma soprattutto non si arrivava all’uccisione di Moro“.

Tratto da: Antimafiaduemila

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