Eni. Dopo l’assoluzione sulla Nigeria patteggiamento sulla corruzione in Congo

Eni. Dopo l’assoluzione sulla Nigeria patteggiamento sulla corruzione in Congo

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Di Federico Rucco

Dopo la sentenza del tribunale che ha assolto i dirigenti dell’Eni accusati di una maxitangente in Nigeria per l’acquisizione di alcune zone petrolifere, la principale multinazionale italiana ha chiuso un altra vicenda giudiziaria che la vedeva coinvolta, ma in questo caso in Congo.

Si tratta dell’inchiesta relativa ad alcune attività di Eni in Congo, che vedeva indagati la società e l’ex responsabile per l’Africa subsahariana, Roberto Casula, per corruzione internazionale.

Ma in questo caso, diversamente dal processo conclusosi mercoledi, c’è stato l’annuncio di un patteggiamento, con l’ipotesi di reato che viene derubricata a induzione indebita e il pagamento di una sanzione di 11,8 milioni di euro da parte dell’Eni. L’accordo è stato raggiunto a una settimana di distanza dalla nuova udienza prevista per il processo.

La prima udienza era prevista per il 17 febbraio, ma il gip del tribunale di Milano, Sofia Fioretta, l’aveva rinviata al prossimo 25 marzo. La motivazione ufficiale del rinvio sarebbe da ricondursi alla possibilità che si apra una strada per giungere a un accordo tra le parti, dopo che, nel settembre scorso, era stata la stessa procura a promuovere la richiesta per lo stop alla produzione di Eni nello stato africano. E l’accordo, come abbiamo visto, è arrivato.

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In una nota la multinazionale si dice soddisfatta dell’accomodamento raggiunto con il tribunale. “Eni prende atto con soddisfazione del decadere anche di questa ipotesi di corruzione internazionale. In seguito alla derubricazione del reato contestato da parte del Pubblico Ministero, Eni ha aderito all’ipotesi di sanzione concordata avanzata dalla Procura e ne ha presentato richiesta”, è scritto nella nota diffusa dal dalla società.

Ci si arrampica un po’ sugli specchi affermando nella stessa nota che “l’accordo non rappresenta un’ammissione di colpevolezza da parte della società rispetto al reato contestato, ma un’iniziativa tesa a evitare la prosecuzione di un iter giudiziario che comporterebbe un nuovo e significativo dispendio di risorse per Eni e tutte le parti coinvolte“.

L’udienza per questo secondo caso giudiziario che coinvolge le attività di Eni in Africa, è prevista al Tribunale di Milano per il prossimo 25 marzo. In essa si sarebbe discussa una misura interdittiva che, secondo indiscrezioni e qualora fosse stata confermata l’ipotesi di corruzione internazionale, avrebbe potuto persino congelare alcune attività in Congo, fermando i pozzi Marine VI e VII, con un impatto di circa 400 milioni di euro.

Ma con il patteggiamento raggiunto tra la multinazionale e il Tribunale e il pagamento di una ammenda di 11,8 milioni di euro da parte di Eni questa ipotesi viene scongiurata.

Un libro curato dall’associazione Re:Common – “Il Caso Congo” – aveva sollevato il problema degli affari dell’Eni in quell’importante e tormentatissimo paese africano (dove recentemente sono stati uccisi l’ambasciatore e un carabiniere italiani, ndr). Il libro ricostruisce gli aspetti controversi che riguardano due licenze ottenute dalla principale multinazionale italiana in Congo e che per questo sono finite all’attenzione della magistratura. Le indagini erano iniziate anche grazie a un esposto dell’associazione, presentato nel maggio del 2016.

L’inchiesta, iniziata tre anni fa, riguardava l’ipotesi che L’Eni per ottenere nel 2015 i rinnovi dei permessi petroliferi, avesse accettato di cedere quote azionarie delle licenze a una azienda congolese dietro cui si sarebbero celati funzionari pubblici di quello Stato. L’Eni ha sempre negato ogni illecito, affermando di non aver avuto nessun ruolo nell’assegnazione delle licenze o nella scelta governativa del proprio partner locale.

L’Eni ha una consistente attività in Congo. La produzione è fornita dai giacimenti di Nené Marine e Litchendjili (Eni 65%), Zatchi (Eni 55,25%), Loango (Eni 42,5%), Ikalou (Eni 100%), Djambala (Eni 50%), Foukanda e Mwafi (Eni 58%), Kitina (Eni 52%), Awa Paloukou (Eni 90%), M’Boundi (Eni 82%), Kouakouala (Eni 74,25%), Zingali e Loufika (Eni 100%), con una produzione nel 2019 di circa 93 mila barili equivalenti al giorno (67 mila in quota Eni).

Tratto da: Contropiano.org

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