Caso Palamara, quando la magistratura processa se stessa

Caso Palamara, quando la magistratura processa se stessa

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Tempo di lettura: 3 min

di Giorgio Bongiovanni

La politica? Mai!

Luca Palamara è stato radiato dall’ordine giudiziario. Si è concluso così il procedimento disciplinare nei confronti del magistrato romano, finito sotto inchiesta a Perugia e in attesa che inizi il processo con l’accusa di corruzione. Era difficile credere che sarebbe finita in maniera diversa.
Del resto, sl di là del caso in sé, che ha messo in evidenza una lunga serie di fenomeni degenerativi nel Csm e in parte della magistratura con la presenza di gravissime patologie come il correntismo, il carrierismo o il collateralismo con la politica, quanto avvenuto ci permette di fare un’analisi ulteriore: la magistratura sa trovare il modo di processare se stessa, intervenendo anche duramente per fare pulizia.
Ovviamente ci sono le eccezioni. La squallida questione Palamara può essere preso ad esempio (pertanto è giusta la sua espulsione), ma non è l’unico: si pensi al caso del giudice Marco Petrini, accusato di corruzione in atti giudiziari aggravata dal metodo mafioso, o ancora la vicenda Saguto. In generale, se escludiamo un caso come quello del giudice Carnevale che fu clamorosamente assolto, la magistratura italiana può essere presa come esempio virtuoso, dimostrandosi davvero l’ultimo baluardo della nostra democrazia.

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Un ruolo che la differenzia enormemente dal mondo della politica, mai capace di intervenire in prima persona per auto processarsi o allontanare le mele marce, ma sempre pronta ad essere garantista, ad attendere (quindi demandando alla sola magistratura il gravoso compito di accertare i fatti) l’esito dei procedimenti giudiziari, o addirittura impedendo in tutti i modi l’accertamento della verità su certi fatti. Basti pensare a quante volte sia stato negato l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche alla magistratura nelle indagini che riguardano deputato o parlamentari, anche in presenza di gravissimi reati come il concorso esterno in associazione mafiosa o affini.
E’ in questo che si traccia un solco tra i due organi fondamentali del nostro Stato.
Ma se la magistratura è in grado di generare degli anticorpi per curare quelle metastasi che si generano al proprio interno, la politica, invece, si esalta nel malaffare e si scopre geneticamente intrisa nell’animo da fenomeni come l’intrallazzo o la ricerca dell’escamotage.
Tangentopoli non ha di fatto portato via nulla con sé e la corruzione è solo un’altra faccia della medaglia criminale-mafiosa.
E’ passato alla storia il discorso in Parlamento dell’ex Presidente del Consiglio Bettino Craxi che, apertamente, svelava i meccanismi del finanziamento politico dicendo che il modus operandi socialista non era differente da quello degli altri partiti. E nessuno gridò allo scandalo per quelle parole. Chi sostiene che si tratta di tempi lontani commette un gravissimo errore. E del reso basta guardare le cronache di oggi, dove si arriva anche a “vendersi per un piatto di lenticchie”.

Le eccezioni, in questo caso, sono al contrario, con pochi politici mossi da quel significato che le attribuiva un filosofo come Aristotele e che portava “l’animale politico” ad amministrare la “polis” per il bene di tutti.
Così se in magistratura la prassi diventa quella di intervenire e processare se stessi, nella politica “cane non mangia cane” l’eccezione è rappresentata dal politico onesto e giusto, spesso isolato dal proprio stesso partito.
E così facendo cresce il convincimento dell’esistenza di uno Stato, quello italiano che, nella migliore delle ipotesi, preferisce sempre trincerarsi dietro omertosi silenzi, e nella peggiore, nascondere la propria complicità criminale con mafie e sistemi criminali.
Noi, che crediamo nei principi della nostra Costituzione, vogliamo fermamente che la stessa sia rispettata nella sua essenza, con una Repubblica Parlamentare divisa nei suoi poteri (legilativo, esecutivo e giudiziario).
E’ partendo da questo che evidenziamo le differenze tra una mgistratura, capace di purificarsi (nonostante i suoi difetti) ed un politica incapace, nei suoi uomini, di fare i conti con le proprie malefatte. Una politica rimasta al Medioevo. La speranza è che, prima o poi, possa davvero avvenire un cambiamento, ad oggi rimasto una chimera.

Tratto da: Antimafiaduemila

Italia